GaspareMaura

Membro Attivo
Agente Immobiliare
Salve io ho una cliente che ha due appartamenti cointestati con le due figlie nello stesso stabile; ora le ho trovato un cliente per uno dei due appartamenti e quando le ho fatto presente che dovevano firmarlo tutte e tre il contratto mi ha risposto che lei privatamente il contratto lo ha sempre firmato e intestato a se stessa mentre l'incasso lo dava alla figlia per un appartamento e ad un'altra per l'altro; siccome è testarda come devo comportarmi e che rischi si corrono se lo intesto solo a lei? (ps. non vi è usufrutto).
 

studiopci

Membro Storico
Prima di tutto devi avvisare la signora che anche se il contratto è intestato a lei solo , le figliole devono dichiarare comunque il reddito percepito... altrimenti son guai e grossi... qualcuno pensa che intestando il contratto ad uno solo dei comproprietari e girando il provento a nero , si eludano le tasse per gli altri, ma non è così una risoluzione dell'AdE ha chiarito il contrario...
secondo la signora può ( rappresentando la maggioranza di quota di proprietà ) affittare ed intestarsi il contratto a patto che abbia il consenso delle altri parti e per contratti che non superino i 9 anni e logico che in mancanza di consenso la decisione della signora è suscettibile di impugnazione entro 30 gg da parte deglialtri comproprietari.
Non vedo il motivo di non cointestare il contratto se non quello di una presunta speranza di elusione fiscale, però ti consiglio di avvisare la signora di farsi sottoscrivere dalle figlie un atto di assenso all'affitto, questo per evitare eventuali e futuri problemi anche a te. Fabrizio
 

GaspareMaura

Membro Attivo
Agente Immobiliare
Caro studiopci, io alla signora ho detto che per me lo devono firmare tutte e tre perchè quando lei ha affittato privatamente poteva fare come credeva a suo rischio e pericolo, mentre ora con l'intermediazione io non posso soprassedere su queste cose elementari! una cosa strana poi è che nella visura risultano con le stesse quote di 1/3
 

studiopci

Membro Storico
Hai fatto benissimo, ma anche l'assenso ti pone al riparo , la legge consente di farlo entro determinati limiti, per il fatto che le quote siano per 1/3, sembra strano in quanto si presume che l'immobile pervenga per eredità dal marito/ genitore e quindi con una suddivisione delle quote diversa, ma potrebbe essere che l'immobile sia satto acquistato da madre e figlia come che altro... in fondo a te non interessa l'importante e che il contratto sia firmato da tutti i proprietari o da uno con l'assenso degli altri... non bastano i guai odierni cercarsene altri per pochi spiccioli poi...
 

GaspareMaura

Membro Attivo
Agente Immobiliare
Il problema da noi sono quei professionisti (!?) che dicono e fanno quello che vogliono tanto loro non compaiono mai riscuotono solo!

Ma l'assenso va fatto con altra scrittura privata? perche se va messa su contratto a questo punto tanto vale firmarlo! per deduzione credo la prima ipotesi!
 

Pennylove

Membro Assiduo
Privato Cittadino
Dal punto di vista civilistico, un singolo comproprietario può validamente sottoscrivere un contratto di locazione di un immobile in comunione (intesa come insieme dei comproprietari), anche senza la procura degli altri condividenti (art. 1105, comma 1, cod. civ.). E, infatti, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, sugli immobili oggetto di comunione concorrono – in difetto di prova contraria – pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari (Cass., 27 gennaio 2012, n°549), sulla base della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso anche degli altri (il comproprietario/locatore, ove, però, non in possesso del consenso degli altri partecipanti alla comunione si espone al rischio di azioni risarcitorie da parte di questi ultimi e da parte del conduttore). Pertanto, nel caso di specie, il contratto di locazione - al quale sono vincolati, volenti o nolenti, anche le figlie, unitamente al conduttore (terzo in buona fede) - può essere intestato anche a uno solo dei tre comproprietari. Infatti, nel rapporto di locazione, l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica.

Per quanto concerne gli aspetti fiscali, nel caso di un immobile in comproprietà, il contratto di locazione stipulato da uno solo dei comproprietari, esplica effetti anche nei confronti dei comproprietari non presenti in atto che sono quindi tenuti a dichiarare, a fini fiscali, il relativo reddito fondiario per la quota a loro imputabile (art. 26, comma 1 del DPR 917/1986 (Tuir). Pertanto, nella fattispecie in discorso, i canoni (reddito effettivo) dovranno essere dichiarati da tutti i soggetti proprietari, essendo ininfluente che il contratto sia stipulato da uno solo di essi e indipendentemente dal fatto che solo uno di essi abbia effettivamente percepito l’intero importo della locazione (Cass., 6 settembre 2006, n°19217). E’ da osservare, poi, che ciascun comproprietario, nel caso di mancata percezione, diviene titolare di un diritto di credito, corrispondente all’ammontare della propria quota, nei confronti del comproprietario che abbia trattenuto l’intero importo della locazione. In definitiva, nel caso sovraesposto, sarebbe opportuno verificare (ed eventualmente rivedere) le posizioni fiscali dei singoli soggetti comproprietari.
 

GaspareMaura

Membro Attivo
Agente Immobiliare
Ma io come agente non posso mica mettermi a fare anche il commerciaista! Per me lo dovrebbero firmare tutti e tre e la questione si chiude li!
 

studiopci

Membro Storico
Come sempre, Pennylove hai reso un ottima spiegazione tecnica... ma se la giurisprudenza consolidata trae indicazione dagli artt. 1105 e seguenti, che sono comunque riferiti alla condominio ed alla comunione del bene e prevedono anche una serie di adempimenti , quale la nomina di un amministratore, ecc.ecc., laddove dovessero sorgere problemi il collega si potrebbe trovare ad essere chiamato in causa per problematiche derivanti dal mancato accordo ( presente e futuro ) tra le parti, oltre a possibili ripercussioni sul conduttore, per cui credo sia sempre in questi casi preferibile rilevare ed assumere almeno un consenso scritto delle parti che solleva da ogni problema. Fabrizio
 

Pennylove

Membro Assiduo
Privato Cittadino
Il mio intervento si limitava ad analizzare le sole implicazioni civilistiche e fiscali inerenti il tema che ci occupa e i relativi principi dedotti dalla maggior giurisprudenza, mettendo in risalto il fondamento normativo. Riguardo le problematiche derivanti dal mancato accordo tra le parti intermediate circa l’intestazione del contratto di locazione e a quelle legate alla responsabilità del mediatore immobiliare all’interno di tale scacchiere, vorrei rimarcare solo una cosa (scusate se poi esco un po’ dal seminato).

Occorre sin da subito evidenziare che tale forma di responsabilità non è presa in considerazione da alcuna disposizione normativa, pertanto bisognerà verificare se la stessa possa essere confinata, nella forma generale della diligenza, all’interno della disposizione prevista dall’art. 1759 cod. civ., nel suo complesso interpretata, al fine di verificare se tra gli obblighi generali gravanti sul mediatore v’è finanche quello di accertamento dell’assetto proprietario di un immobile da locarsi e della relativa intestazione contrattuale trasmessa per il suo tramite. A mio personalissimo avviso, escluderei che ci sia un generale dovere incombente su di esso teso all’individuazione di tale aspetto e delle conseguenti implicazioni civilistiche e tributarie, perché, se così fosse, si arriverebbe all’assurdo di addebitare una responsabilità al mediatore il quale dovrebbe, secondo tale ricostruzione, essere più diligente della stessa parte intermediata che magari è stata inesatta o reticente in proposito. Ove il mediatore, però, per qualsiasi causa, nello svolgimento del suo incarico, abbia notizia di ciò (o anche solo nel dubbio), dovrà renderne edotte le parti intermediate, comunicando loro le sue perplessità, e se, nonostante tutto, si sia voluto intestare il contratto ad un solo comproprietario/locatore condividente la comunione, egli andrà esente da qualsiasi responsabilità nascente dall’operazione negoziale. Se poi – come ha osservato Fabrizio – il medesimo voglia tutelarsi, assumendo un consenso scritto dalle parti intermediate che lo sollevi da ogni eventuale problematica conseguente, è pienamente legittimato a farlo.

Quanto sopra riportato, infatti, è nevralgico, quale cardine per risolvere il caso qui in esame e, più in generale, le patologie dei rapporti di mediazione, perché i repertori e gli stessi forum immobiliari sono pieni di casi in cui gli intermediati pretenderebbero dal mediatore prestazioni che il medesimo non è tenuto ad offrire, ad esempio una compiuta analisi tecnico-civilistico-fiscale della fattibilità giuridica e regolarità formale dell’affare o dell’atto, propedeutica al suo naturale sbocco: il contratto), e ciò anche senza magari aver ricevuto, in proposito, alcun espresso incarico dalle parti, a volte adombrando, quando poi i nodi vengono al pettine, che l’inadempimento del mediatore sarebbe stato quello di non aver eseguito tutte le verifiche o valutato correttamente il caso, dimenticando di ricordare che la giurisprudenza di legittimità non è mai giunta a richiedere al mediatore – salva la possibilità che il medesimo venga espressamente sollecitato in proposito da una delle parti intermediate - prestazioni che non gli sono richieste per legge: per conoscere l’esatto carico fiscale gravante su una pluralità di comproprietari/locatori è consigliabile rivolgersi ad un commercialista; per conoscere l’esatta provenienza di un immobile è bene contattare un notaio ecc.

In conclusione, date queste premesse, a me sembra che il mediatore immobiliare, tra le informazioni alle parti intermediate, abbia l’obbligo di fornire quelle di cui ha conoscenza o che avrebbe dovuto conoscere usando l’ordinaria diligenza richiesta secondo i canoni di buona fede, salvo il limite dato dalle competenze altrui. Null’altro. E’ questo, a mio giudizio, il criterio guida nel caso di specie e più in generale nell’obbligo informativo sancito dall’art. 1759 cod. civ. e della legge n°39 del 1989: infatti, il grado di conoscibilità, misurato sulla professionalità che si può e si deve attendere da un operatore specializzato come lui – come ha precisato, in maniera abbastanza chiara, la Corte di Cassazione il 22 marzo 2001, n°4126 - andrà poi commisurato ai vari parametri di riferimento, quali le caratteristiche peculiari di ogni singolo affare (locazione o compravendita che sia) e, soprattutto, il grado di organizzazione e il tipo di mezzi di cui dispone per lo svolgimento della sua attività.
 

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