Non direi: resta valido il principio già enunciato, come si legge nell’articolo citato:
La giurisprudenza maggioritaria sostiene ad oggi che
la nullità comminata dal d.p.r. n. 380/2001 sia di natura testuale, essendo di diretta derivazione legislativa. In particolare, la II sezione della Corte di Cassazione ha di recente affermato che: “
La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato” (Cass. civ., sez. un., 21 ottobre 2021, n. 29317).