Con sentenza n. 7180, depositata il 10 maggio 2012, la seconda sezione della Corte di cassazione ha stabilito che risulta legittima la condanna inflitta al promissario acquirente inadempiente a versare alla controparte la penale fissata nella misura di un quarto del totale del corrispettivo pattuito per l'acquisto, al netto della caparra intascata all'epoca del preliminare. Secondo i giudici di legittimità, si deve ritenere particolarmente importante per il promissario venditore l'interesse al pagamento del rateo previsto e mai avvenuto, in quanto tale da svolgere la funzione di finanziamento dei costi per la realizzazione dell'opera, e dunque non riducibile dal giudice l'ammontare di detta penale. La Corte ha chiarito che "nella fattispecie di contratto preliminare di vendita dell'immobile in costruzione, deve che ricordarsi che il terzo comma dell'articolo 1385 Cc attribuisce alla parte non inadempiente la facoltà di scegliere tra la ritenzione della caparra e il risarcimento del danno, consentendogli le due diverse scelte di recedere o di chiedere la risoluzione per inadempimento alle quali consegue la ritenzione della caparra oppure il risarcimento del danno come da penale". Dalla lettura della sentenza di legittimità emerge che, in Cassazione, il ricorrente, promissario acquirente, tra gli altri motivi di ricorso, aveva posto il seguente quesito e cioè se ai fini del risarcimento del danno la caparra confirmatoria, trattenuta dal promittente venditore dopo il decorso del termine della diffida ad adempiere, sia cumulabile con la clausola penale, "il motivo è manifestamente infondato - ha affermato la seconda sezione civile - in quanto risulta dalla sentenza di appello che la caparra versata era stata portata in detrazione dalla penale con la conseguenza che non sussiste il lamentato cumulo e il quesito, fondato su un presupposto di fatto insussistente, non è pertinente alla fattispecie; in ordine alla rilevanza alla diffida ad adempiere sul cumulo tra penale e caparra, valgono le stesse considerazioni circa l'insussistenza del lamentato cumulo e l'inapplicabilità della caparra (infatti defalcata) laddove la parte non inadempiente opti per la risoluzione per inadempimento e non per il recesso". La Corte, in riferimento all'eccessività della clausola penale, ha poi avuto modo di spiegare che, come costantemente affermato dalla stessa Corte, la pattuizione di una penale non si sottrae alla disciplina generale delle obbligazioni, per cui deve escludersi la responsabilità del debitore quando costui prova che l'inadempimento o il ritardo dell'adempimento dell'obbligazione cui accede la clausola penale, sia determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (...) nel caso di specie, la Corte di merito ha osservato che non sussisteva causa non imputabile all'inadempiente perché non rilevano le semplici difficoltà economiche, anche se causate da condotte di terzi. La Corte territoriale, inoltre, ha preso in considerazione l'interesse del creditore all'adempimento in funzione della necessità di autofinanziamento della costruzione e pertanto ha utilizzato un criterio conforme ai principio affermati da questa Corte secondo i quali la penale "può" ma non "deve" essere ridotta dal giudice, avuto riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.
(fonte studio Cataldi)
(fonte studio Cataldi)