Bisogna comprendere che un condominio non si costituisce: esiste o non esiste.
Nella cultura dell’uomo “medio” erroneamente si parla di condominio quando si è in presenza di un numero rilevante di unità immobiliari, almeno cinque (ora nove?), e sotto questo limite sempre “l’uomo medio” ritiene si debbano applicare le norme della comunione.
In realtà, alla comprensione del comune cittadino sfugge la conoscenza di alcune figure quali il “condominio minimo” ed il “condominio parziale”, dovute alla giurisprudenza e alla dottrina.
Per chiarire. La compresenza di parti di uso esclusivo e di parti di uso comune differenzia il “condominio” dalla pura e semplice “comunione”, ex art. 1118 c.c., ove, salvo prova contraria, tutte le parti sono di uso comune e le quote si presumono uguali, ex art. 1101 c.c.
Trattandosi di comunione forzosa e non scioglibile tra proprietari di beni a uso esclusivo e di beni comuni non divisibili, il condominio è un ente di spesa costituito di fatto. Questa è la ragione per cui il codice civile non stabilisce un numero minimo di comproprietari a decorrere dal quale si dovrebbero compiere determinati atti che porterebbero alla costituzione di tale ente.
Numeri che il Legislatore ha ritenuto di indicare per alcuni obblighi nascenti da caratteristiche dimensionali (regolamento condominiale - nomina amministratore ecc.)
Come menzionato la giurisprudenza ritiene possibile identificare un ente condominiale anche con la presenza di due soli condomini, il cosidetto "condominio minimo".
Per la Cassazione "la disciplina del capo II del Titolo VII del terzo libro del codice civile (artt. 1117-1138) è applicabile ad ogni tipo di condominio", ma nel caso del piccolo condominio "sono inapplicabili […] le sole norme procedimentali sul funzionamento dell’assemblea condominiale, che resta regolato, dunque,
dagli artt. 1104,1105,1106 del codice civile" – Cass. II Sez. Civ. 22 giugno 2005 n.13371.
D'altro canto trattandosi di beni comuni a edifici è ovvio che esistano spese comuni e che debba esistere una opportuna ripartizione di esse in ragione del dettato civilistico proprio del condominio e non della comunione (in caso contrario a che servirebbe la domanda?).
Alla luce della giurisprudenza e della dottrina, è mia opinione che una semplice risposta negativa sia errata. Sempre da questo punto di vista la domanda corretta potrebbe essere se esista o meno un condominio.
Per rispondere all'ipotizzato quesito mancano però una serie di informazioni.
P.es. se gli appartamenti sono identici, se ci sono più numeri civici, come sono regolate nelle pattuizioni contrattuali le eventuali parti comuni (presumibile che ci siano vista la domanda) quali le facciate, i tetti ecc. come sono regolati i servizi quali l'acqua o l'energia elettrica ecc.
Se invece la domanda vertesse sulla normativa fiscale - obbligo di chiedere codice fiscale e costituire a tal fine un condominio - si riterrebbe opportuno comunque un'analisi alla luce delle caratteristiche proprie dell'edificio.
In tal senso un aiuto può provenire dalla lettura delle apposite guide pubblicate nel sito dell'Agenzia dell Entrate, tra cui "condominio: adempimenti e agevolazioni fiscali"