Contestualmente alla sottoscrizione della proposta di acquisto è consuetudine (ma non è un obbligo) che chi si impegna ad acquistare versi a chi vende una somma di denaro (per “fermare” l’affare) che può assumere diverse caratteristiche.
In genere, nella proposta di acquisto è specificato che il primo versamento (sotto forma di assegno non trasferibile, datato e intestato al legale venditore) viene effettuato a titolo di “deposito” ovvero “acconto sul prezzo” che diventerà “caparra confirmatoria” nel momento in cui il venditore avrà accettato la proposta di acquisto.
La caparra confirmatoria (art. 1385 cod. civ.) opera come una sanzione contrattuale a carico della parte inadempiente e costituisce una forma di risarcimento a favore della parte adempiente: assolve, infatti, la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.
Se l’acquisto si conclude, va imputata al prezzo dovuto al venditore. Qualora, invece, si opti per il recesso, di cui al secondo comma del precitato articolo, il meccanismo operativo è quello di trattenere la caparra, o, nel caso sia stata prestata, di riceverne in restituzione il doppio, determinando, in questo modo, l’estinzione sia del contratto che dell’inadempimento, con conseguente rinuncia ad ogni eventuale maggior danno.
Se, invece, si preferisce ottenere un più consistente risarcimento, si può chiedere l’esecuzione coattiva o la risoluzione (giudiziale), di cui al terzo comma, con la conseguenza che andrà provata, davanti ad un giudice, secondo la disciplina ordinaria l’esistenza e l’entità di un danno di non scarsa importanza (art. 1455 cod. civ.): in questo caso non si può incamerare la caparra, ma è solo consentito trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto spetta a titolo di anticipo dei danni che in seguito saranno accertati e liquidati.
Diversamente dalla caparra penitenziale (art. 1386 cod. civ.), la caparra confirmatoria non costituisce un corrispettivo del recesso, bensì una forma di cautela e di garanzia per il risarcimento dei danni in caso di inadempimento e, diversamente dalla clausola penale (art. 1382 cod. civ.), non pone un limite al danno risarcibile, potendo la parte non inadempiente recedere senza andare davanti al giudice o intimare diffida ad adempiere e trattenere la caparra ricevuta (ovvero esigere il doppio di quella prestata) a totale soddisfacimento del danno derivante dal recesso, senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo.
In sostanza, tale clausola ha la funzione di deterrente bilaterale per scoraggiare ciascuna parte a cambiare idea. In particolare, se l’acquirente versa una somma consistente (che non dovrebbe superare il 5-10% del prezzo totale dell’immobile: una clausola che preveda una caparra “spropositata” può essere dichiarata, totalmente o parzialmente, nulla), difficilmente il venditore penserà di vendere ad altri che magari, nel frattempo, hanno offerto un prezzo leggermente più elevato.
L’acconto (figura affine alla caparra confirmatoria) non è dato a titolo di cautela e di garanzia, ma come adempimento preventivo. Se una determinata somma è versata a titolo di acconto o di anticipo, le parti, in caso di inadempimento, non hanno che la via del risarcimento secondo le regole ordinarie, ovverossia instaurare una causa e, in quella sede, dimostrare di avere subito un danno; la caparra confirmatoria, invece, è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte.