per quanti credono ancora negli automatismi
Il maggiore valore degli immobili determinato sulla base dei dati Omi (Osservatorio del mercato immobiliare) e dei mutui erogati agli acquirenti non consente al fisco di rettificare il valore di compravendita sull'impresa venditrice. Sono necessari, infatti, altri riscontri per provare la sottofatturazione. A precisarlo la sentenza n. 3/18/12 della Ctr Lombardia, che rafforza ulteriormente l'orientamento dei giudici tributari di merito sul punto (si veda, da ultimo, la Ctp Reggio Emilia 488/1/2011 come riportato dal Sole 24 Ore del 26 gennaio scorso).
Pronunce che arrivano a seguito di rettifiche su imposte dirette e IVA nelle compravendite immobiliari fondate sulla discrasia tra importi dichiarati negli atti e valore dei mutui e sul non allineamento dei prezzi esposti nei rogiti rispetto a quelli rilevati dall'Omi. Questo nonostante la circolare 18/E/2010 avesse invitato gli uffici a non coltivare accertamenti basati su rigidi automatismi. Lo scenario normativo è, infatti, cambiato con l'abrogazione, con valenza retroattiva, delle disposizioni contenute nell'articolo 35 del Dl 223/2006 (il decreto Visco-Bersani) che facevano assurgere tali elementi al rango di presunzioni legali. Il precedente regime consentiva di rettificare automaticamente i corrispettivi dichiarati ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA, laddove i prezzi pagati risultassero inferiori al valore normale determinato proprio sulla base dei richiamati criteri (appunto i dati Omi e, con specifico riguardo all'IVA, il valore dei mutui). Come ricorda ora anche la Ctr Lombardia, a seguito di una procedura di infrazione intentata dalla Commissione europea contro l'Italia, è stato eliminato dal nostro ordinamento qualsiasi riferimento al valore normale negli accertamenti immobiliari, (ri)allineando così la nostra normativa alla direttiva comunitaria 2006/112, per la quale la base imponibile IVA è sempre il corrispettivo pagato.
Inoltre, i giudici della regionale sottolineano che il valore del mutuo può essere più alto di quello indicato nei rogiti per ragioni di varia natura, come quella di dover finanziare spese notarili o arredi: ragioni rispetto alle quali il venditore non ha alcun potere di intervento. Sia l'Omi che il mutuo rappresentano, quindi, elementi meramente indiziari. Perché si possa parlare di presunzione semplice munita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza idonea a fondare un accertamento, sono necessari ulteriori evidenze che ne corroborino le risultanze. In altre parole occorrono altri elementi, come quelli che fanno leva su dichiarazioni degli acquirenti, documentazione extracontabile, contratti preliminari che espongano importi diversi rispetto ai rogiti, indagini bancarie che denotino comportamenti anomali. In assenza di tali evidenze, che per avere dignità probatoria devono tutte univocamente condurre al medesimo risultato, non può essere rettificato il corrispettivo dichiarato negli atti di vendita.
I giudici della Ctr Lombardia evidenziano poi che l'assenza di rilievo probatorio per il valore dei mutui è confermata, nella controversia esaminata, dalla disomogeneità degli scostamenti rilevati tra quest'ultimo e il valore indicato nei rogiti, che a volte risultavano consistenti e altre volte minimi. Inoltre i valori dei mutui erano in ogni caso inferiori agli stessi dati Omi, dimostrando in questo modo l'impossibilità di porre tali contraddittori elementi a fondamento di un avviso di accertamento.
Di conseguenza, negli accertamenti sulle compravendite immobiliari l'amministrazione finanziaria – in capo alla quale incombe l'onere probatorio – non può basarsi su rigidi automatismi ma deve proporre un quadro ricostruttivo che univocamente conduca a un determinato risultato. Le presunzioni vanno quindi "costruite" secondo criteri di ragionevolezza e verosimiglianza.