Nei contratti di locazione stipulati a norma dell’art. 2, co. 3 della legge n°431/1998, il canone di locazione deve inderogabilmente essere calcolato in base a quanto stabilito nell’accordo locale. Pertanto, per prima cosa controlla attentamente l’accordo territoriale e tutte le possibili maggiorazioni applicabili (per immobili arredati, di qualità energetica elevata, di una determinata superficie, per una durata superiore a quella minima, per deposito cauzionale non superiore ad una mensilità, per recesso del conduttore senza obbligo di motivazione ecc.). Alcuni accordi territoriali prevedono anche una percentuale di errore nel calcolo della superficie, nell’ordine del 4-5% entro cui il canone è considerato regolare.
Ora, la norma (co. 4 dell’art. 13 della legge n°431/1998) stabilisce la nullità di ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito per immobili aventi le stesse caratteristiche di quello oggetto del contratto. Per i casi disciplinati dal co. 4, il co. 5 attribuisce al conduttore, se il canone oltrepassa la soglia massima consentita dalla convenzione locale, la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria (il conduttore non può autoridursi il canone: sarebbe un fatto illegittimo e arbitrario), previa istanza di mediazione preventiva, per richiedere – con azione proponibile nel termine di 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile locato (ma eventuali errori di calcolo possono essere rilevati dal conduttore anche prima della riconsegna dell’immobile, ovverossia in corso di locazione ovvero d’ufficio anche dal giudice in sede di sfratto per morosità) - la restituzione delle somme indebitamente versate. In questo caso, il giudice, nel caso in cui il contratto contenga clausole nulle, dovrà ricondurlo alla disciplina legale e potrà disporre la restituzione delle somme eventualmente eccedenti.
Sotto il profilo strettamente fiscale – a giudizio di chi scrive – il fatto di aver calcolato in modo erroneo il canone di locazione, non comporta necessariamente la decadenza per il locatore - in regime ordinario IRPEF - delle agevolazioni fiscali previste in materia di imposte dirette (redditi) ed indirette (registro), poiché quanto pagato finora in più (sia in IRPEF che in cedolare) è maggiore di quanto dovuto (sarà magari il conduttore - ma civilisticamente - a muoversi per chiedere che gli venga riconosciuto quanto gli spetta, non certo l’Amministrazione finanziaria se il locatore paga di più di imposta), né paiono sussistere problemi relativi all’aliquota agevolata IMU, la cui base di calcolo è, comunque, la rendita catastale e non il canone di locazione.
In ipotesi di contratto intermediato (agente immobiliare, associazione di categoria ecc.), il locatore è in buona fede. Più difficile dimostrare la buona fede, in sede di contenzioso, se il calcolo è opera dello stesso locatore. Suggerimenti? A livello fiscale, si potrebbe registrare una riduzione di canone per farlo rientrare nella fascia di oscillazione, ma, anche questo escamotage non risolve il problema alla radice (il canone originario oltrepassa la soglia massima prevista), per cui un atteggiamento prudenziale consiglia di risolvere consensualmente la convenzione locativa in essere e contestualmente registrare una nuova convenzione a canone non superiore a quello massimo stabilito dagli accordi locali (ambedue a costo zero se in cedolare).
Riguardo, infine, ai controlli da parte dall’Amministrazione finanziaria sui contratti a canone concordato (cedolarizzati o meno), l’Agenzia opera, da qualche anno, controlli a campione. Anche il Comune può effettuare controlli e verificare alcuni parametri oggettivi. Il caso più semplice (ed emblematico) è un accertamento della metratura utilizzata per il calcolo. Tuttavia, esistono forti dubbi sulla legittimità dell’azione del Comune, in quanto, secondo il testo degli accordi, la superficie in contratto è innanzitutto determinata in “espresso accordo tra le parti “ e la misurazione è prevista solo in caso di disaccordo.