Il franchising immobiliare, in Italia, ha fatto boom. E' un dato di fatto che non si può contestare ma solo analizzare e capire nella sua complessità.
Il franchising è un accordo di collaborazione che vede da una parte un'azienda con una formula commerciale consolidata (franchisor) e dall'altra una società o una persona fisica (franchisee) che aderisce a questa formula.
Da una parte c’è un marchio o brand conosciuto che viene concesso in uso all’affiliato e che da diritto di commercializzare i propri servizi ( nel nostro caso di intermediazione immobiliare) utilizzandolo nell’insegna e nell’immagine coordinata aziendale in aggiunta al diritto della consulenza ed assistenza in ordine ad un modello standard di lavoro; dall’altro invece ci sono gli affiliati che devono pagare il brand e il sostegno alla gestione aziendale e alla comunicazione garantito dal franchisor con un fee d’ingresso e una percentuale sul fatturato ( royalty). A volte gravosa.
In altre parole con il franchising c’è un mediatore che preferisce lavorare non con il suo nome e cognome ma con l’identità di un “altro”. Scelta rispettabilissima, che favorisce, certamente, un più rapido avvio dell’impresa e maggiori fatturati iniziali ma che ha, come contropartita, la perdita della propria personalità, la privazione volontaria della propria individualità irripetibile di uomo e di imprenditore. Anche se formalmente il titolare della ditta rimane l’affiliato.
Col franchising lavoro sotto le specie di un “altro”, mi impegno in una mia attività lavorativa indossando una rigida maschera inamidata, che mi copre la “faccia” e che mi impedisce movimenti autonomi e liberi e pago, per di più, questa finzione, in modo profumato. Chi gestisce, in alto, “l’immagine” e la “finzione” invece passa alla cassa e riscuote.
Masochismo?
Autolesionismo?
Scelta assennata?
Opzione prudente?
Ma perché uno che fa il mediatore non deve prefiggersi la crescita della propria immagine commerciale e professionale, scegliendo la libera gestione della propria attività e prediligendo un metodo lavorativo conforme alla proprie caratteristiche e, invece, consegnarsi totalmente alla “parvenza” altrui e alla “camicia di forza” di un marchio collettivo?
Perche tanti agenti immobiliari si sono "consegnati" ai franchising nazionali o addirittura internazionali?
Perché non sfruttare la specifica notorietà commerciale che vantano nel luogo dove operano e aprire altre agenzia in zona creando in questa maniera un piccolo franchising “casereccio”? Un franchising all’”italiana”? Anzi di “provincia”?
Quale risposta possono dare gli operatori immobiliari di questo
Aggiunto dopo 3 minuti :
Quali risposte possono dare gli operatori immobiliari di questo blog a queste domande?
Il franchising è un accordo di collaborazione che vede da una parte un'azienda con una formula commerciale consolidata (franchisor) e dall'altra una società o una persona fisica (franchisee) che aderisce a questa formula.
Da una parte c’è un marchio o brand conosciuto che viene concesso in uso all’affiliato e che da diritto di commercializzare i propri servizi ( nel nostro caso di intermediazione immobiliare) utilizzandolo nell’insegna e nell’immagine coordinata aziendale in aggiunta al diritto della consulenza ed assistenza in ordine ad un modello standard di lavoro; dall’altro invece ci sono gli affiliati che devono pagare il brand e il sostegno alla gestione aziendale e alla comunicazione garantito dal franchisor con un fee d’ingresso e una percentuale sul fatturato ( royalty). A volte gravosa.
In altre parole con il franchising c’è un mediatore che preferisce lavorare non con il suo nome e cognome ma con l’identità di un “altro”. Scelta rispettabilissima, che favorisce, certamente, un più rapido avvio dell’impresa e maggiori fatturati iniziali ma che ha, come contropartita, la perdita della propria personalità, la privazione volontaria della propria individualità irripetibile di uomo e di imprenditore. Anche se formalmente il titolare della ditta rimane l’affiliato.
Col franchising lavoro sotto le specie di un “altro”, mi impegno in una mia attività lavorativa indossando una rigida maschera inamidata, che mi copre la “faccia” e che mi impedisce movimenti autonomi e liberi e pago, per di più, questa finzione, in modo profumato. Chi gestisce, in alto, “l’immagine” e la “finzione” invece passa alla cassa e riscuote.
Masochismo?
Autolesionismo?
Scelta assennata?
Opzione prudente?
Ma perché uno che fa il mediatore non deve prefiggersi la crescita della propria immagine commerciale e professionale, scegliendo la libera gestione della propria attività e prediligendo un metodo lavorativo conforme alla proprie caratteristiche e, invece, consegnarsi totalmente alla “parvenza” altrui e alla “camicia di forza” di un marchio collettivo?
Perche tanti agenti immobiliari si sono "consegnati" ai franchising nazionali o addirittura internazionali?
Perché non sfruttare la specifica notorietà commerciale che vantano nel luogo dove operano e aprire altre agenzia in zona creando in questa maniera un piccolo franchising “casereccio”? Un franchising all’”italiana”? Anzi di “provincia”?
Quale risposta possono dare gli operatori immobiliari di questo
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