Forse manca un passaggio fondamentale che mi preme sottolineare: vero che sia nella 431/98 che nella 392/78 si parla di gravi motivi MA il legislatore non ha mai specificato quali essi siano, lasciando cadere il tutto in un ambito puramente soggettivo e non oggettivo.
Dunque, il conduttore si trova nella posizione di poter inviare disdetta perchè (esempio assurdo) le pareti della camera da letto sono dipinte di giallo e a lui il giallo provoca insonnia.
Rispondendo al quesito originale: confermo quanto detto da altri colleghi, ovvero è possibile vendere l'immobile locato.
Ora, il locatore non puó inviare disdetta se non alla scadenza naturale del contratto stesso.
Trovo dunque inutile questa manovra (possibile motivo di contenzioso) e trovo molto più logico che, se tra conduttore e locatore vi è tacito accordo, sia il conduttore ad inviare disdetta, rispettando dunque la legge in materia.
In caso di non risoluzione del contratto, esso si trasferirà in capo al nuovo proprietario.
Se condivido le conclusioni, non sono d’accordo sulle premesse che, a io avviso, sono diametralmente opposte alle conclusioni a cui è pervenuta la giurisprudenza. L’espressione “gravi motivi” è certamente generica e sfuggente: infatti appartiene alle c.d. nome “elastiche”, ossia quelle norme, non a struttura rigida, ma a variabile o a minimo contenuto definitorio, che richiedono a chi interpreta giudizi di valore su regole o criteri etici o proprie di discipline o ambiti non solo giuridici. Gli esempi sono tanti: si pensi ad esempio all’espressione “giusta causa” oppure “interesse del minore”. E ancora: “concorrenza sleale”, “vincolo pertinenziale, “stato di bisogno”.
Come già statuito dalla Suprema Corte (Cass. n°6498/2012; Cass. n°5095/2011), si tratta di nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo, configura attraverso disposizioni di minimo contenuto definitorio che delineano un modulo generico che ha bisogno di essere specificato in sede interpretativa. Tali nozioni di legge hanno natura giuridica e la loro violazione o mancata applicazione è, quindi, denunciabile in sede di legittimità, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza e ricostruzione dei fati , che specificano il parametro normativo, si pone sul diverso piano del giudizio di merito, incensurabile innanzi alla Corte Suprema, solo se se privo di errori logici o giuridici.
Posta questa premessa, i “gravi motivi” (che devono essere indicati esplicitamente nella comunicazione di recesso per dare al locatore la possibilità di valutare l’effettiva gravità ed eventualmente di contestarli) che consentono il recesso legale del conduttore dal contratto di locazione – secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte – devono essere determinati, in linea generale, da fatti oggettivi, estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti dopo la costituzione del rapporto, tali da rendere gravosa la prosecuzione dello stesso sotto il profilo economico, e non dunque attinenti alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore circa l’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato.
I giudici riconoscono la rilevanza ai fini del recesso, dei soli motivi di natura “oggettiva”, relativi cioè all’oggetto della locazione (legittima il recesso ad esempio la perdita del posto di lavoro, il trasferimento (subito, non scelto, il crollo del soffitto) e non ai motivi soggettivi, inerenti preferenze, gusti, valutazioni, decisioni del conduttore (il colore pareti non costituisce grave motivo in quanto non è un fatto impeditivo esterno, estraneo alla volontà del conduttore al pari di un recesso basato sull’esigenza di maggior spazio, salvo imprevedibili e sopravvenute esigenze familiari (ad es. la nascita di un figlio o accogliere in famiglia la coppia anziana dei propri genitori o del coniuge).