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In tema di esercizio dell'attività di bed and breakfast in condominio, non può parlarsi di cambio di destinazione d'uso dell'unità immobiliare in esso ubicata, in quanto tale attività si fonda sul fatto che il servizio è offerto in una civile abitazione.
Insomma una cosa è l'esercizio dell'attività alberghiera in condominio, altro l'apertura di un'attività di bed and breakfast nella medesima compagine; questa la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24707 depositata in cancelleria il 20 novembre 2014.
Sempre più spesso accade che per arrotondare o comunque per iniziare un'attività economica, in molti adibiscano parte delle loro abitazioni a bed and breakfast; quest'attività è stato oggetto di regolamentazione da parte delle legislazioni regionali e dei regolamento comunali. È anche noto che molte persone, surrettiziamente, parlano di b&b quando invece si dovrebbe trattare di vere e proprie attività alberghiere: questo, però, è un altro discorso.
Nel caso di specie dei condomini hanno aperto nella loro abitazione un'attività di b&b e il condominio gli ha fatto causa perché a suo modo di vedere tale attività era contraria al regolamento condominiale, a mente del quale "è fatto divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato".
In primo grado il condominio vedeva accolta la propria richiesta, mentre il giudizio d'appello riportava tutto all'inizio: è lecito tendere un bed and breakfast in condominio. da qui la conclusione delle vertenza davanti ai giudici di legittimità.
Il condominio ricorrente chiedeva la cassazione della sentenza per vari motivi, primo tra i vari, l'errata interpretazione del regolamento condominiale rispetto all'attività di b&B: secondo la compagine questa era contraria alla destinazione a civile abitazione prescritta dallo statuto della compagine.
È qui, dice la Corte, che il ricorrente si sbaglia. Secondo gli ermellini, infatti, la sentenza d'appello, correttamente, ha ritenuto che “la disposizione regolamentare, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per la utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell'attività di bed and breakfast (affermazione, questa, coerente con il quadro normativo di riferimento: art. 2, lett. a, del regolamento regionale Lazio n. 16 del 2008, in cui si chiarisce che "l'utilizzo degli appartamenti a tale scopo non comporta il cambio di destinazione d'uso ai fini urbanistici"; in proposito, vedi anche Corte cost. sent. n. 369 del 2008), non precludesse la destinazione delle unità di proprietà esclusiva alla detta attività” (Cass. 20 novembre 2014 n. 24707).
Come dire: siccome il regolamento condominiale vieta di mutare la destinazione d'uso e l'attività di bed and breakfast non richiede tale modificazione rispetto alle civili abitazioni, non può ravvisarsi violazione del regolamento stesso. Né, ha proseguito la Corte confermando la bontà del lavoro dei giudici d'appello, poteva scorgersi nella sentenza impugnata un'errata interpretazione della clausola oggetto del contendere alla luce dell'intero regolamento di condominio.
Per vietare tale attività, dunque, sarà bene specificarlo in modo preciso ed inequivocabile com'è richiesto per ogni divieto o limitazione al diritto di proprietà contenuti in un regolamento condominiale di origine contrattuale.
Fonte condominioweb.com
Insomma una cosa è l'esercizio dell'attività alberghiera in condominio, altro l'apertura di un'attività di bed and breakfast nella medesima compagine; questa la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24707 depositata in cancelleria il 20 novembre 2014.
Sempre più spesso accade che per arrotondare o comunque per iniziare un'attività economica, in molti adibiscano parte delle loro abitazioni a bed and breakfast; quest'attività è stato oggetto di regolamentazione da parte delle legislazioni regionali e dei regolamento comunali. È anche noto che molte persone, surrettiziamente, parlano di b&b quando invece si dovrebbe trattare di vere e proprie attività alberghiere: questo, però, è un altro discorso.
Nel caso di specie dei condomini hanno aperto nella loro abitazione un'attività di b&b e il condominio gli ha fatto causa perché a suo modo di vedere tale attività era contraria al regolamento condominiale, a mente del quale "è fatto divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato".
In primo grado il condominio vedeva accolta la propria richiesta, mentre il giudizio d'appello riportava tutto all'inizio: è lecito tendere un bed and breakfast in condominio. da qui la conclusione delle vertenza davanti ai giudici di legittimità.
Il condominio ricorrente chiedeva la cassazione della sentenza per vari motivi, primo tra i vari, l'errata interpretazione del regolamento condominiale rispetto all'attività di b&B: secondo la compagine questa era contraria alla destinazione a civile abitazione prescritta dallo statuto della compagine.
È qui, dice la Corte, che il ricorrente si sbaglia. Secondo gli ermellini, infatti, la sentenza d'appello, correttamente, ha ritenuto che “la disposizione regolamentare, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per la utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell'attività di bed and breakfast (affermazione, questa, coerente con il quadro normativo di riferimento: art. 2, lett. a, del regolamento regionale Lazio n. 16 del 2008, in cui si chiarisce che "l'utilizzo degli appartamenti a tale scopo non comporta il cambio di destinazione d'uso ai fini urbanistici"; in proposito, vedi anche Corte cost. sent. n. 369 del 2008), non precludesse la destinazione delle unità di proprietà esclusiva alla detta attività” (Cass. 20 novembre 2014 n. 24707).
Come dire: siccome il regolamento condominiale vieta di mutare la destinazione d'uso e l'attività di bed and breakfast non richiede tale modificazione rispetto alle civili abitazioni, non può ravvisarsi violazione del regolamento stesso. Né, ha proseguito la Corte confermando la bontà del lavoro dei giudici d'appello, poteva scorgersi nella sentenza impugnata un'errata interpretazione della clausola oggetto del contendere alla luce dell'intero regolamento di condominio.
Per vietare tale attività, dunque, sarà bene specificarlo in modo preciso ed inequivocabile com'è richiesto per ogni divieto o limitazione al diritto di proprietà contenuti in un regolamento condominiale di origine contrattuale.
Fonte condominioweb.com
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