Se ne discuteva qualche giorno fa con Pensoperme e altri blogger di questa Community....
Il franchising immobiliare, in Italia, ha fatto boom. E' un dato di fatto che non si può contestare ma solo analizzare e capire nella sua complessità.
Ma io, però, ne sono piuttosto sorpreso conoscendo la scarsa "disciplina" dell' italiano medio, molto prepenso a fare pappa ciccia solo per sé e per la propria famiglia
Il franchising è un accordo di collaborazione che vede da una parte un'azienda con una formula commerciale consolidata (franchisor) e dall'altra una società o una persona fisica (franchisee) che aderisce a questa formula.
Da una parte c’è un marchio o brand conosciuto che viene concesso in uso all’affiliato e che da diritto di commercializzare i propri servizi ( nel nostro caso di intermediazione immobiliare) utilizzandolo nell’insegna e nell’immagine coordinata aziendale in aggiunta al diritto della consulenza ed assistenza in ordine ad un modello standard di lavoro; dall’altro invece ci sono gli affiliati che devono pagare il brand e il sostegno alla gestione aziendale e alla comunicazione garantito dal franchisor con un fee d’ingresso e una percentuale sul fatturato ( royalty).Percentuale piuttosto gravosa. Si parlava in un altro post di una media di 16.000 euro da pagare all’anno solo di rojalty da parte del franchisee.
In altre parole con il franchising c’è un mediatore che preferisce lavorare non con il suo nome e cognome ma con l’identità di un “altro”. Scelta rispettabilissima, che favorisce, certamente, un più rapido avvio dell’impresa e maggiori fatturati iniziali ma che ha, come contropartita, la perdita della propria personalità, la privazione volontaria della propria individualità irripetibile di uomo e di imprenditore. Anche se formalmente il titolare della ditta rimane l’affiliato.
Col franchising lavoro sotto le specie di un “altro”, mi impegno in una mia attività lavorativa indossando una rigida maschera inamidata, che mi copre la “faccia” e che mi impedisce movimenti autonomi e liberi e pago, per di più, questa finzione, in modo profumato. Chi gestisce, in alto, “l’immagine” e la “finzione” invece passa alla cassa e riscuote.
Masochismo?
Autolesionismo?
Scelta assennata?
Opzione prudente?
Ma perché uno che fa il mediatore non deve prefiggersi la crescita della propria immagine commerciale e professionale, scegliendo la libera gestione della propria attività e prediligendo un metodo lavorativo conforme alla proprie caratteristiche e, invece, consegnarsi totalmente alla “parvenza” altrui e alla “camicia di forza” di un marchio collettivo?
Perché tanti agenti immobiliari si sono "consegnati" ai franchising nazionali o addirittura internazionali?
Perchè il tipo antropologico dell' italiano medio ha violentemente conculcato, in questo modo, la sua soggettività, la sua creatività e il suo innato individualismo?
Perché non sfruttare la specifica notorietà commerciale che mediatori vantano nel luogo dove operano e aprire altre agenzia in zona creando in questa maniera un piccolo franchising “casereccio”? Un franchising all’”italiana”? Anzi di “provincia”? Un franchising intriso di "genio" italico di "spirito" latino. Che salvaguardi l'identità di ciascun operatore.
Un franchising tutto da inventare, magari con un altro nome.
Questo attuale è nato negli USA negli anni '30, è piuttosto vecchio come metodo, e non pare calzi a pennello agli italiani.
Un modello imposto, da dittatura culturale.
Mi è stato riferito della situazione di alcune agenzie in franchising con un solo agente immobilare come responsabile e una sfilza di apprendisti, collaboratori, assistenti….Molto dei quali da spremere come limoni e poi buttare....
Addirittura, pare ci siano, sul mercato, certe agenzie gestite da titolari senza patentino camerale.
Se ciò fosse vero come è mai stato possibile giungere a questo?
Non é che il modello di business del franchising si é trasformato, in mano italiana, in un modo nuovo, elegante ed "imprenditoriale" di praticare l'antica arte dell' arrangiarsi o addirittura di "farla franca" bypassando norme e regole?
Il franchising immobiliare, in Italia, ha fatto boom. E' un dato di fatto che non si può contestare ma solo analizzare e capire nella sua complessità.
Ma io, però, ne sono piuttosto sorpreso conoscendo la scarsa "disciplina" dell' italiano medio, molto prepenso a fare pappa ciccia solo per sé e per la propria famiglia
Il franchising è un accordo di collaborazione che vede da una parte un'azienda con una formula commerciale consolidata (franchisor) e dall'altra una società o una persona fisica (franchisee) che aderisce a questa formula.
Da una parte c’è un marchio o brand conosciuto che viene concesso in uso all’affiliato e che da diritto di commercializzare i propri servizi ( nel nostro caso di intermediazione immobiliare) utilizzandolo nell’insegna e nell’immagine coordinata aziendale in aggiunta al diritto della consulenza ed assistenza in ordine ad un modello standard di lavoro; dall’altro invece ci sono gli affiliati che devono pagare il brand e il sostegno alla gestione aziendale e alla comunicazione garantito dal franchisor con un fee d’ingresso e una percentuale sul fatturato ( royalty).Percentuale piuttosto gravosa. Si parlava in un altro post di una media di 16.000 euro da pagare all’anno solo di rojalty da parte del franchisee.
In altre parole con il franchising c’è un mediatore che preferisce lavorare non con il suo nome e cognome ma con l’identità di un “altro”. Scelta rispettabilissima, che favorisce, certamente, un più rapido avvio dell’impresa e maggiori fatturati iniziali ma che ha, come contropartita, la perdita della propria personalità, la privazione volontaria della propria individualità irripetibile di uomo e di imprenditore. Anche se formalmente il titolare della ditta rimane l’affiliato.
Col franchising lavoro sotto le specie di un “altro”, mi impegno in una mia attività lavorativa indossando una rigida maschera inamidata, che mi copre la “faccia” e che mi impedisce movimenti autonomi e liberi e pago, per di più, questa finzione, in modo profumato. Chi gestisce, in alto, “l’immagine” e la “finzione” invece passa alla cassa e riscuote.
Masochismo?
Autolesionismo?
Scelta assennata?
Opzione prudente?
Ma perché uno che fa il mediatore non deve prefiggersi la crescita della propria immagine commerciale e professionale, scegliendo la libera gestione della propria attività e prediligendo un metodo lavorativo conforme alla proprie caratteristiche e, invece, consegnarsi totalmente alla “parvenza” altrui e alla “camicia di forza” di un marchio collettivo?
Perché tanti agenti immobiliari si sono "consegnati" ai franchising nazionali o addirittura internazionali?
Perchè il tipo antropologico dell' italiano medio ha violentemente conculcato, in questo modo, la sua soggettività, la sua creatività e il suo innato individualismo?
Perché non sfruttare la specifica notorietà commerciale che mediatori vantano nel luogo dove operano e aprire altre agenzia in zona creando in questa maniera un piccolo franchising “casereccio”? Un franchising all’”italiana”? Anzi di “provincia”? Un franchising intriso di "genio" italico di "spirito" latino. Che salvaguardi l'identità di ciascun operatore.
Un franchising tutto da inventare, magari con un altro nome.
Questo attuale è nato negli USA negli anni '30, è piuttosto vecchio come metodo, e non pare calzi a pennello agli italiani.
Un modello imposto, da dittatura culturale.
Mi è stato riferito della situazione di alcune agenzie in franchising con un solo agente immobilare come responsabile e una sfilza di apprendisti, collaboratori, assistenti….Molto dei quali da spremere come limoni e poi buttare....
Addirittura, pare ci siano, sul mercato, certe agenzie gestite da titolari senza patentino camerale.
Se ciò fosse vero come è mai stato possibile giungere a questo?
Non é che il modello di business del franchising si é trasformato, in mano italiana, in un modo nuovo, elegante ed "imprenditoriale" di praticare l'antica arte dell' arrangiarsi o addirittura di "farla franca" bypassando norme e regole?