Commento di Corrado Sforza Fogliani (Confedilizia) sulla riforma dei condominii entrata in vigore oggi.
Quella sul condominio in vigore dal 18 giugno, è una riforma destinata a cambiare la vita a 30 milioni circa di italiani e ad alcune migliaia di amministratori condominiali (la cui attività viene in ogni aspetto disciplinata).
Ma che è, ciò nonostante, una riforma pigra, un restyling più che altro.
L’occasione che il legislatore poteva cogliere, era grande.
Negli Stati Uniti, 57 milioni di americani (Silvio Boccalatte, La città sussidiaria-Vivere oltre lo Stato, ed. Ass. Carlo Cattaneo) vivono in comunità autoregolate, nella gran parte dei casi vivono come in enormi condomìni o, se vi sono parti comuni, come in supercondomìni. La loro legge è un regolamento contrattuale, approvato da tutti. Comunità di questo tipo esistono anche in Italia e tutte hanno una specifica caratteristica: che in esse la spesa pubblica insostenibile non esiste.
A queste comunità avrebbe potuto ispirarsi il legislatore della riforma, facendo del regolamento (contrattuale, quindi: approvato da tutti) il perno del condominio.
Ancora 77 anni dopo, il legislatore ha invece preferito riferirsi nuovamente al modello varato nel 1935 (a quell’anno risale la nostra prima legge sul condominio) e mantenuto intatto nel 1942, allorchè fu trasfuso nel nuovo Codice civile: un modello che, pur attenuato fin dall’origine dalla distinzione (confermata dalla riforma) fra norme derogabili (dal regolamento condominiale) e norme inderogabili, racchiude comunque il condominio in un involucro calato dall’alto, col quale lo Stato si arroga il diritto di regolare la vita condominiale anche nei suoi più minuti aspetti (perfino – e con norma inderogabile – in quello della durata dell’incarico dell’amministratore scelto dai condòmini).
Un’impostazione che risente dell’epoca (accentratrice) in cui fu concepita e varata, anche in reazione alla regolamentazione – se vogliamo chiamarla così – prevista dal Codice liberale del 1865, sostanzialmente basata su servitù volontarie (e su tre norme in tutto – gli articoli 562, 563 e 564 – che, negli edifici con piani appartenenti a differenti proprietari e in mancanza di accordi fra questi ultimi, regolavano la sopraelevazione e il riparto delle spese in genere e per i lastrici solari in particolare).
Allo stesso modo, il legislatore della riforma non ha affrontato il problema di attribuire al condominio - così come s’è fatto in diversi Paesi europei - la capacità giuridica (la capacità, quindi, di agire come una persona o una società).
La solita, provinciale dietrologia (ma cosa si cela mai dietro questa proposta?) ha avuto il sopravvento, impedendo all’istituto condominiale di mettersi veramente al passo coi tempi.
Impedendogli, soprattutto, di semplificare la vita a condòmini ed amministratori, salvo oggi lamentarsi - anche, paradossalmente, da parte di oppositori dell’attribuzione della capacità giuridica – dei troppi aggravi che si sarebbero aggiunti.
Il condominio rimane così un semplice “ente di gestione” (ma per certa dottrina e giurisprudenza, neppure questo), basato – in particolare – sul rapporto di mandato condòmini-amministratore. Nonostante questo (che ha comunque fatto la gioia di molti editori, che ci hanno invaso di pubblicazioni che sono semplici rifritture di testi precedenti), la riforma ha anzitutto il merito di aver ufficializzato l’orientamento dei giudici espresso in decenni di giurisprudenza.
Non solo. Si sono, pure, meglio precisati particolari aspetti della vita condominiale, così come si è sancita l’applicabilità delle disposizioni sul condominio ai condominii orizzontali nonché ai supercondominii, e si è data piena legittimazione agli amministratori del proprio condominio, esonerati - anche - dalla formazione sia iniziale che periodica.
In sostanza, la normativa di riforma rappresenta un semplice restyling – come già detto – della vecchia legge, ma un restyling importante, e appieno rispettoso (nonostante i tempi) dei diritti proprietari, così da ottenere – nella sua forma attuale e superati, quindi, alcuni “sbandamenti” che essa aveva subito nell’iter parlamentare – il convinto consenso della Confedilizia.
Di questa normativa, addirittura ancor prima che essa entri in vigore e sia debitamente rodata, si chiedono già da qualche parte modifiche, e – financo – la sospensione. A rimediare ad alcuni problemi (come per il fondo spese lavori), forse basterà però anche la sola prassi attuativa o, al massimo, qualche iniziativa di interpretazione.
A riaprire il cantiere della riforma (dagli esiti in gran parte imprevedibili) pare il caso di pensare solo se si vorrà effettivamente fare opera nuova, guardandosi intorno e, comunque, almeno all’Europa.
di Corrado Sforza Fogliani
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Quella sul condominio in vigore dal 18 giugno, è una riforma destinata a cambiare la vita a 30 milioni circa di italiani e ad alcune migliaia di amministratori condominiali (la cui attività viene in ogni aspetto disciplinata).
Ma che è, ciò nonostante, una riforma pigra, un restyling più che altro.
L’occasione che il legislatore poteva cogliere, era grande.
Negli Stati Uniti, 57 milioni di americani (Silvio Boccalatte, La città sussidiaria-Vivere oltre lo Stato, ed. Ass. Carlo Cattaneo) vivono in comunità autoregolate, nella gran parte dei casi vivono come in enormi condomìni o, se vi sono parti comuni, come in supercondomìni. La loro legge è un regolamento contrattuale, approvato da tutti. Comunità di questo tipo esistono anche in Italia e tutte hanno una specifica caratteristica: che in esse la spesa pubblica insostenibile non esiste.
A queste comunità avrebbe potuto ispirarsi il legislatore della riforma, facendo del regolamento (contrattuale, quindi: approvato da tutti) il perno del condominio.
Ancora 77 anni dopo, il legislatore ha invece preferito riferirsi nuovamente al modello varato nel 1935 (a quell’anno risale la nostra prima legge sul condominio) e mantenuto intatto nel 1942, allorchè fu trasfuso nel nuovo Codice civile: un modello che, pur attenuato fin dall’origine dalla distinzione (confermata dalla riforma) fra norme derogabili (dal regolamento condominiale) e norme inderogabili, racchiude comunque il condominio in un involucro calato dall’alto, col quale lo Stato si arroga il diritto di regolare la vita condominiale anche nei suoi più minuti aspetti (perfino – e con norma inderogabile – in quello della durata dell’incarico dell’amministratore scelto dai condòmini).
Un’impostazione che risente dell’epoca (accentratrice) in cui fu concepita e varata, anche in reazione alla regolamentazione – se vogliamo chiamarla così – prevista dal Codice liberale del 1865, sostanzialmente basata su servitù volontarie (e su tre norme in tutto – gli articoli 562, 563 e 564 – che, negli edifici con piani appartenenti a differenti proprietari e in mancanza di accordi fra questi ultimi, regolavano la sopraelevazione e il riparto delle spese in genere e per i lastrici solari in particolare).
Allo stesso modo, il legislatore della riforma non ha affrontato il problema di attribuire al condominio - così come s’è fatto in diversi Paesi europei - la capacità giuridica (la capacità, quindi, di agire come una persona o una società).
La solita, provinciale dietrologia (ma cosa si cela mai dietro questa proposta?) ha avuto il sopravvento, impedendo all’istituto condominiale di mettersi veramente al passo coi tempi.
Impedendogli, soprattutto, di semplificare la vita a condòmini ed amministratori, salvo oggi lamentarsi - anche, paradossalmente, da parte di oppositori dell’attribuzione della capacità giuridica – dei troppi aggravi che si sarebbero aggiunti.
Il condominio rimane così un semplice “ente di gestione” (ma per certa dottrina e giurisprudenza, neppure questo), basato – in particolare – sul rapporto di mandato condòmini-amministratore. Nonostante questo (che ha comunque fatto la gioia di molti editori, che ci hanno invaso di pubblicazioni che sono semplici rifritture di testi precedenti), la riforma ha anzitutto il merito di aver ufficializzato l’orientamento dei giudici espresso in decenni di giurisprudenza.
Non solo. Si sono, pure, meglio precisati particolari aspetti della vita condominiale, così come si è sancita l’applicabilità delle disposizioni sul condominio ai condominii orizzontali nonché ai supercondominii, e si è data piena legittimazione agli amministratori del proprio condominio, esonerati - anche - dalla formazione sia iniziale che periodica.
In sostanza, la normativa di riforma rappresenta un semplice restyling – come già detto – della vecchia legge, ma un restyling importante, e appieno rispettoso (nonostante i tempi) dei diritti proprietari, così da ottenere – nella sua forma attuale e superati, quindi, alcuni “sbandamenti” che essa aveva subito nell’iter parlamentare – il convinto consenso della Confedilizia.
Di questa normativa, addirittura ancor prima che essa entri in vigore e sia debitamente rodata, si chiedono già da qualche parte modifiche, e – financo – la sospensione. A rimediare ad alcuni problemi (come per il fondo spese lavori), forse basterà però anche la sola prassi attuativa o, al massimo, qualche iniziativa di interpretazione.
A riaprire il cantiere della riforma (dagli esiti in gran parte imprevedibili) pare il caso di pensare solo se si vorrà effettivamente fare opera nuova, guardandosi intorno e, comunque, almeno all’Europa.
di Corrado Sforza Fogliani
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