Il piano di emergenza non è obbligatorio eppure in una regione a rischio alluvioni finora pochi comuni l'hanno adottato. Non ci sono neppure i piani di evacuazione che censiscono i disabili da aiutare. Con un piano di emergenza i morti forse ci sarebbero stati lo stesso ma il disastro certo avrebbe avuto altre proporzioni. Con un piano di emergenza l'allerta del servizio meteo sarebbe arrivato alla popolazione, le macchine non avrebbero ostruito la strada ai soccorsi, i disabili sarebbero stati localizzati, gli animali non avrebbero causato problemi sanitari. Con un piano di emergenza. Ma il piano d'emergenza a Capoterra non c'era. E non c'è. Non è obbligatorio, sia chiaro, ma chissà perché in Sardegna, dove i disastri non sono una rarità, pochi Comuni si sono dotati di uno strumento preziosissimo. Anche per questo il capo della protezione civile Guido Bertolaso il giorno successivo all'alluvione ha contestato la macchina dei soccorsi. «Sono d'accordo, a Capoterra è mancata l'applicazione di un piano di emergenza»: Gabriele Satta è un ex funzionario regionale che accetta di analizzare la situazione nonostante sia in pensione da cinque anni. Del resto, ha un curriculum da super esperto: si è occupato dell'alluvione del 1994 in Piemonte, del disastro del Moby Prince, del terremoto in Umbria e Marche, della valanga di Sarno, perfino della gestione di un campo profughi in Albania. «Io non so se Capoterra abbia un piano ma, a giudicare dalla fatica che fanno per superare l'emergenza, sembrerebbe di no». Quando i metereologi lanciano l'allerta la procedura cosa prevede? «Il Sar invia alla Protezione civile della Regione un fax con le previsioni del tempo avverso, se ci sono gli estremi viene girato alla prefettura competente». In questo caso Cagliari. «Sì». E poi? «Il prefetto inoltra il fax ai Comuni esposti al rischio». E lì finisce il suo compito? «Sì, il Comune valuta lo spessore dell'allerta e si attiva. Non può certo radere al suolo le case costruite nel letto di un fiume ma può seguire le procedure contenute nel piano di emergenza». E se il piano non c'è? «Il risultato è simile a quello che sta capitando ora: non c'è coordinamento, le macchine dei privati ostruiscono le strade ai mezzi di soccorso, le greggi creano emergenze sanitarie in quanto affogano come ferri da stiro, gli allettati non sono assistiti. Se ci fosse un piano di emergenza i disabili sarebbero invece censiti da un piano di evacuazione». Insomma, se ci fosse stato il piano alcune morti si sarebbero potute evitare? «Quando il cielo scarica acqua in quei quantitativi difficilmente si può dire che cosa sarebbe potuto succedere. Io ricordo quando a Uta una persona in auto era stata travolta da un torrente in piena». Appunto, se la popolazione fosse stata avvisata forse l'ingegnere e la suocera non sarebbero stati in auto sul ponticello spazzato dall'onda di piena. «Questo non lo so, so però che un piano di emergenza prevede la sistemazione dei cosiddetti cancelli, nastri di plastica bianchi e rossi presidiati da un militare che nega l'accesso alle zone a rischio. Si possono sistemare poi aste rosse, verdi e gialle in montagna per segnalare le diverse gravità dei rischi». Ma se l'allerta è di 24 ore prima come si fa a organizzare tutto questo su un territorio vasto come quello colpito dall'alluvione del 22 ottobre? «C'è un piano infallibile che si chiama allerta a cascata: io faccio tre telefonate a vigili del fuoco, sindaco e ufficio tecnico ognuno dei quali ne fa altre quattro e così via. In dieci minuti, se esiste, il piano viene applicato». Si poteva pure pensare di evacuare i villaggi prima dell'alluvione? «No, non è pensabile, ma soltanto perché non siamo educati a questo, non abbiamo la cultura della protezione civile. Eppure nei piccoli paesi si spendono anche 40.000 euro per i fuochi di artificio, si sistemano le luci dei lampioni e le mattonelle delle piazze ma non si trovano i soldi per un piano di emergenza». Insomma, a Capoterra cos'è mancato? «Il piano. Le case sarebbero state comunque distrutte ma i soccorsi sarebbero stati migliori». Quali sono gli organismi che gestiscono l'emergenza in caso di calamità naturali? «C'è un centro di coordinamento soccorso in prefettura e uno o più centri operativi presso i Comuni danneggiati». Questa macchina ha funzionato? «Penso proprio di sì, non sarà stata un orologio ma ha certamente funzionato». Pensa che qualcuno si potesse salvare? «È piovuta una tale mole d'acqua, come una bomba, e non si può dire a posteriori. Probabilmente, però, in riferimento all'anziana disabile, forse ci sarebbe stata la possibilità di salvarla: la si sarebbe potuta portar via dalla casa prima dell'alluvione, nella fase di allerta, perché poi durante l'alluvione non si sposta nessuno. Quel che è importante è infatti la predisposizione, la preparazione all'evento che sta per succedere». Secondo lei Bertolaso nella pubblica denuncia del giorno dopo parlava di questo? «Giustamente non voleva accusare nessuno, si è limitato a dire che è mancata la cerniera fra corpi istituzionali preposti al superamento dell'emergenza. Basti pensare che stanno arrivando lenzuola e materassi quando sicuramente la Regione ne ha in magazzino per almeno 500 persone, perché così impone la legge». Il problema dei soccorsi è legato anche al fatto che sono saltati i collegamenti telefonici e radio. «Certo, in questi casi è tutto un corto circuito, ma esistono i Cb e radioamatori con le radio portatili che consentono di superare l'emergenza. Se tutto è già predisposto in un piano non si deve inventare nulla».