RIFLESSIONI SULLA DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE DEI FABBRICATI di Pippo Sciscioli
La sentenza n. 3210 del 22 luglio scorso della III sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia- sede di Bari offre un contributo fondamentale nella definizione del significato e dei contorni di un concetto non sufficientemente precisato dal Testo Unico per l’Edilizia (Dpr 380/01 e successive modifiche ed integrazioni) e cioè quello della demolizione e successiva ricostruzione di un preesistente fabbricato.
Da sempre terreno di scontro in dottrina e giurisprudenza, anche nell’ultimo periodo ha vissuto un’evoluzione anche in sede legislativa.
L’art.31 lett. D) della legge 457/78 codificava la nozione di ristrutturazione edilizia intesa come complesso di interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono anche portare ad un manufatto in tutto o in parte diverso dal precedente.
In merito si è molto discusso circa le caratteristiche che dovesse avere l’intervento edilizio per rientrare nella definizione di cui all’art.31 della L.457/78 ed, in particolare, se fosse ammissibile la demolizione e la ricostruzione del fabbricato.
La giurisprudenza l’aveva ammessa a condizione, tuttavia, che l’intervento consistesse nella demolizione e nella fedele ricostruzione dell’edificio (su tutte vedi Cons. Stato sez. 5^ sent. n.1246 del 05.03.2001 e sent. N..369 del 28.03.1998).
Da allora si è andati alla ricerca del quid novi che distinguesse, all’interno della ristrutturazione, la fattispecie tipica della demolizione e ricostruzione.
Ed in effetti il legislatore, in sede di prima formulazione dell’art.3 del Testo Unico per l’Edilizia (Dpr 380/01), aveva recepito il diritto vivente stabilendo che “….nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
La demolizione e ricostruzione veniva così espressamente riconosciuta come una modalità esecutiva della ristrutturazione, subordinata, tuttavia, al presupposto che fosse “fedele” ricostruzione del fabbricato.
In sostanza, la demolizione diventava una species del più ampio genus della ristrutturazione anche se l’aggettivo “fedele”, in teoria, vincolava fortemente l’intervento ricostruttivo. Di fatto, tuttavia, non veniva applicato in modo rigido in quanto, per esempio, non poneva alcun limite circa la variazione delle superfici utili del nuovo fabbricato, che, perciò, potevano essere variate sia in aumento sia in diminuzione.
Il riconoscimento concettuale operato dall’art. 3 del Dpr 380/01 aveva riflessi concreti sul terreno operativo, cioè sulla disciplina del titolo edilizio abilitativo. Questa assoggettava la demolizione e la fedele ricostruzione a semplice denuncia di inizio attività (dia), trattandosi non di “nuova costruzione” (che invece avrebbe richiesto il rilascio del permesso di costruire) ma di intervento “conservativo”.
Un decisivo mutamento, nell’evoluzione concettuale dell’istituto de quo, lo ha apportato la legge Lunardi.
Infatti, l’art. 1 c.6 lett. B) della legge 443/01, la c.d. legge obiettivo, ha modificato l’istituto, ricomprendolo nella ristrutturazione edilizia e rifondandolo su basi nuove. Sicchè il D.Lgs. n.301/02, nel recepire la novella della suddetta legge, ha modificato l’art. 3 c.1 lett. D) del Dpr 380/01, ridefinendo la ricostruzione, successiva alla demolizione, come quella effettuata semplicemente “….con la stessa volumetria e sagoma” e non più dunque come “fedele”.
Traspare, con tutta evidenza, che soltanto il rispetto della volumetria e della sagoma, e non più anche dell’area di sedime e delle caratteristiche dei materiali, diventano gli unici vincoli da osservare in sede di ricostruzione.
In sede di adeguamento del Testo Unico per l’Edilizia alle disposizioni dell’art.1 della L.443/01, il D.Lgs. n.301/02 ha modificato l’art.3 c.1 lett. D) del Dpr 380/01 sostituendo, appunto, le parole “…successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente…” con le seguenti “con la stessa volumetria e sagoma”.
Ne vien fuori una figura più autonoma e ampia, meno vincolata nei presupposti sostanziali, e che perciò offre sia più ampi margini operativi sia all’operatore di settore sia maggiore discrezionalità al funzionario chiamato a valutare l’intervento edilizio richiesto.
Ciò nonostante, anche dopo la novella, il Testo Unico per l’Edilizia presenta lacune ed incertezze, non esplicitando per esempio la nozione di “sagoma”.
Ecco, allora, che la sentenza n.3210 del Tar di Bari colma il vuoto normativo, fissando i paletti per l’individuazione della fattispecie della demolizione e ricostruzione, tracciando, inoltre, un distinguo circa il titolo edilizio abilitante applicabile (Permesso di costruire o Dia).
Nell’esaminare il caso sottoposto, il Tar ha chiaramente affermato che rientra nella nozione di ristrutturazione edilizia anche un intervento di demolizione e ricostruzione con riduzione della volumetria e modifica del prospetto originari. Significativo e fortemente indicativo dell’ottica in cui inquadrare la problematica, il passo della sentenza in cui si afferma che “…..in altri termini, volumetria e sagoma rappresentano lo standard massimo di edificabilità in sede di ricostruzione, ferma la possibilità di utilizzarli in parte ovvero con minore volumetria e superficie….”.
Viene così confermato che, in sede di ricostruzione, è necessario non superare soltanto il limite massimo sia della cubatura sia della sagoma, indici espressivi del carico insediativo ed urbanistico, restando così sempre nell’alveo dell’intervento conservativo per il quale è legittimo avvalersi della Dia.
Emerge, con tutta evidenza, la ratio della novella legislativa di liberalizzazione degli interventi sul patrimonio immobiliare esistente, di miglioramento ed ammodernamento di fabbricati fatiscenti, di riqualificazione di territori urbanizzati ma spesso degradati.
Il caso oggetto della sentenza vedeva opposti il Comune di Andria, nel barese, ed una società di costruzioni che, presentando una Dia, aveva richiesto di ristrutturare un immobile ricadente su un suolo sito in pieno centro urbano e tipizzato dal Prg come zona di completamento, prevedendo la demolizione e la ricostruzione con cubatura inferiore e modifica della facciata ma non della sagoma.
Il Comune, entro il termine previsto di 30 giorni, aveva diffidato l’impresa a non iniziare i lavori, rappresentando, a termini dell’art.10 del Dpr 380, la necessità di richiedere il permesso di costruire trattandosi di nuova costruzione e non di “fedele” ricostruzione.
Il Tar barese, nell’accogliere il ricorso della società, ha stabilito due capisaldi essenziali della problematica.
1)La ristrutturazione edilizia tramite demolizione e ricostruzione non deve necessariamente essere “fedele” ma deve preservare, del fabbricato preesistente, soltanto la volumetria e la sagoma. Può dunque mutare, per esempio, la superficie o la fedeltà rispetto all’area di sedime.
L’apertura provocata dalla legge Lunardi non è di poco conto ed, anzi, viene confermata dalla Circolare del 7 agosto 2003 n.4174 con la quale il Ministero per le Infrastrutture e per i Trasporti fornisce preziosi chiarimenti ermeneutici sull’inclusione dell’intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia.
In merito, chiarisce che può essere variata, in aumento ed in diminuzione, la superficie.
“…..la demolizione e ricostruzione rientranti rientranti per espressa declaratoria legislativa nella ristrutturazione edilizia dovrà rispettare le prescrizioni ed i limiti dello strumento urbanistico vigente per quanto compatibili con la natura dell’intervento e quindi non in contrasto con la possibilità esplicitamente prevista dal legislatore di poter operare la ricostruzione attenendosi al solo rispetto di sagoma e volume.
Più specificamente la demolizione e la ricostruzione può comportare aumenti della superficie utile nei limiti consentiti o non preclusi per la ristrutturazione edilizia: in proposito deve ritenersi insita nella natura di tale intervento la possibilità di aumento della superficie utile con il conseguente incremento del carico urbanistico stante la fondamentale ratio legislativa di favorire il rinnovo del patrimonio edilizio anche sotto un profilo tecnico-qualitativo che comporta, il più delle volte, per la stessa praticabilità dell’intervento un diverso dimensionamento della superficie utile”.
Altrettanto chiara la precisazione fornita dalla Circolare in ordine alla possibilità per il soggetto attuatore, in sede di ricostruzione, di effettuare spostamenti di collocazione rispetto alla precedente area di sedime che, tuttavia, non possono spingersi fino al punto di trasferire il nuovo edificio in altro sito. Infatti- recita la Circolare- “…..per quanto riguarda l’area di sedime, non si ritiene che l’esclusione di tale riferimento (dall’art.3 c.1 lett. D) del Dpr 380/01 modificato dal D.Lgs.301/02- ndr) possa consentire la ricostruzione dell’edificio in altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale”.
Altro profilo connesso al 1° caposaldo fissato dalla sentenza n.3210 del Tar barese è quello rappresentato dalla normativa urbanistico-edilizia applicabile agli interventi di demolizione e ricostruzione.
Va operato un distinguo.
Se l’intervento di ricostruzione conserva i parametri preesistenti come volumetria, sagoma, altezze, ecc., è inapplicabile la normativa sopravvenuta alla realizzazione dell’intervento. In sostanza, la legislazione è quella vigente al tempo dell’edificazione del fabbricato originario in virtù di una sorta di trasferimento della disposizione della norma dal costruito al ri-costruito. Il che è spiegabile con la finalità dell’attività ricostruttiva, volta a migliorare il patrimonio edilizio, che preserva il tessuto urbanistico preesistente, ancorché difforme rispetto alle sopraggiunte norme regolatrici dell’attività di governo del territorio.
Se invece la ristrutturazione implica un intervento con modifiche ai parametri urbanistici assentiti con il titolo abilitante originario, allora occorrerà verificare la conformità urbanistica attuale dell’opera, quella cioè del momento in cui in si realizzano i lavori di ristrutturazione.
2)La ricostruzione può anche portare a modifiche del prospetto, cioè alla facciata dell’edificio, prevedendo per esempio balconi al posto delle preesistenti finestre. Ciò che, però, va garantito è il rispetto dell’originaria cubatura e sagoma.
Circa la prima, essa può anche essere inferiore in quanto non viene aumentato il carico insediativi ed urbanistico, lo si è detto.
Circa la seconda, afferma il Tar, essa è cosa diversa rispetto al prospetto. Consiste nell’involucro esterno del manufatto, l’ingombro o l’”impronta”, come nel gergo si dice, quindi il perimetro delle sue mura.
Il prospetto, quindi, è suscettibile di modificazioni essendo, queste, irrilevanti dal punto di vista urbanistico attenendo, piuttosto, all’aspetto architettonico.
Tutte queste considerazioni non sono, ovviamente, aliene da concreti riflessi sul piano operativo, in primis su quello dell’individuazione del titolo abilitante per la realizzazione dei lavori di ristrutturazione.
Lo strumento utilizzabile sarà, allora, quello della Dia: - sia se l’intervento consisterà in una ristrutturazione, effettuata senza demolizione e ricostruzione, che porti ad un nuovo organismo edilizio diverso dal precedente (con modifiche di volume ecc.), ex art.22 c.3 lett. A) del Dpr 380/01 e ss.mm.ii.; sia che la ristrutturazione avvenga, questa volta, tramite demolizione e ricostruzione ma subordinatamente alle condizioni esplicitate dalla sentenza n. 3210 del Tar di Bari e cioè, appunto, rispettando i limiti massimi di cubatura e di sagoma, ancorché modificando il prospetto dell’edificio originario, ex art.22 c.1 Dpr 380/01 e ss.mm.ii..
* Avvocato, dirigente SUAP Comun