[...] ci troviamo di fronte ad una di quelle situazioni in cui il giudice non può, a mio avviso, sentenziare in base ad elementi fissi, certi, precostituiti, o a giurisprudenza esistente, ma solo giudicare i fatti e l'intento con il quale questi si svolgono. [...] Un po' di giurisprudenza...quasi tutta a favore del contribuente, ma nulla in merito alla mia domanda iniziale. Forse però abbastanza per capire quali sono gli elementi sui quali la Cassazione si muove sul tema:
l'Ade contro il contribuente a causa di omessa residenza dell'acquirente a causa del diniego del Comune (e inefficacia delle prove delle utenze e della tarsu):
http://www.studiocerbone.com/cassazione-sentenza-n-11614-del-15-maggio-2013-agevolazione-prima-casa/
l'Ade contro il contribuente a causa di omesso uso quale dimora della prima casa (situazione superata nel 2005, ma si noti come i giudici si esprimono in tema di data certa..) :
http://www.altalex.com/index.php?idnot=737
l'Ade contro il contribuente in tema di omessa residenza nei diciotto mesi a causa di forza maggiore...da qui si capisce come un impedimento, che qui non è neanche stato depositato a difesa, possa giustificare l'omessa residenza nei diciotto mesi successivi all'acquisto, ne deriva che può avvenire lo stesso in caso si debba spostare una residenza... :
http://www.studiocerbone.com/cassaz...olazione-prima-casa-e-residenza-nellimmobile/
l' Ade contro i coniugi che hanno acquistato in comunione legale, ma di cui uno non ha spostato la residenza nel Comune ove è ubicato l'immobile entro i termini di legge:
http://www.studiocerbone.com/agevol...amiglia-cassazione-sentenza-n-16355-del-2013/
l'Ade contro coniugi che avevano 2 abitazioni contemporaneamente come prima casa..coabitanti, ma non coresidenti:
http://www.areadomus.net/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=71
Concordo con la tua analisi. Come testimoniano le riferite pronunce, la Suprema Corte, interpretando la
ratio legis, ha inteso riferire i benefici “prima casa” ad una condizione “oggettiva” (con questo, però, non si intende dire che la Corte rifugga anche da una condizione “soggettiva”, come, si preciserà meglio al termine di questo post), con la conseguenza che occorre verificare in concreto, caso per caso, ed analizzare la singola posizione di ciascun contribuente per dedurne l’applicabilità o meno delle disposizioni agevolative relative alla “prima casa”.
Come si può notare, il giudice di legittimità, in ciascuna delle cinque pronunce richiamate, non si limita ad una lettura asettica della disposizione normativa – come, in genere, l’Agenzia delle Entrate ottusamente persiste a fare, finendo poi per essere regolarmente bacchettata sulle dita dalla Suprema Corte – ma considera le peculiarità del caso concreto, ricercando la
ratio legis nella possibilità che il diritto reale del contribuente possa o meno tradursi nella possibilità di godere dei benefici fiscali o se ciò sia impedito da circostanze oggettive o soggettive.
Ora, dopo le prime pronunce giurisprudenziali in materia ruotanti intorno agli anni duemila, con una serie di successive pronunce la Corte di Cassazione ha tentato di ricondurre ad unità il sistema delle agevolazioni, creando una sorta di griglia interpretativa idonea a superare le divergenze riscontrabili – causa mancanza di coordinamento - nelle varie stratificazioni normative (legislazione anagrafica/legislazione civilistica/legislazione tributaria/”legislazione” catastale) ed a consentire l’affermazione di principi estensivi di indubbio favore per il contribuente “agevolato”.
Non solo la giurisprudenza di legittimità più recente, ma anche le varie Commissioni Tributarie Regionali hanno assunto al riguardo un orientamento più “elastico” nel valutare il requisito anagrafico.
Ad esempio, il mancato trasferimento della residenza a causa di un evento oggettivo non prevedibile, inevitabile e successivo alla cessione (altrimenti la dichiarazione resa sarebbe mendace sin dall’inizio) - come ad esempio lavori di ristrutturazione sospesi dalla Soprintendenza per il rinvenimento di reperti archeologici (Cass. n°14399/2013) ovvero ritardi burocratici legati al permesso di abitabilità (Commissione Tributaria Regione Toscana, n°46/2007) - non revoca il beneficio goduto: ciò che rileva, in presenza di un concreto ostacolo, per causa di forza maggiore, all’adempimento richiesto, è l’impegno di voler trasferire la residenza e non il concreto trasferimento della stessa.
Ancora. Il beneficio “prima casa” – secondo un’interpretazione della legge tributaria conforme ai principi del diritto di famiglia - viene esteso con la comunione legale. In regime di comunione dei beni, nell’ipotesi di residenza familiare, colui che diviene proprietario di metà del bene “agevolato”, a seguito di un atto compiuto dal coniuge – presumibilmente con denaro proprio – non è “acquirente” del bene stesso, ma lo riceve
ope legis, per volontà di legge con la comunione legale: di conseguenza non è tenuto al possesso dei requisiti anagrafici posti dalle disposizioni sulle agevolazioni tributarie “prima casa” (in sostanza, non rileva la diversa residenza del coniuge di chi ha acquistato in regime di comunione).
Non solo. La definizione di abitazione principale non implica necessariamente l'unicità del fabbricato, ma soltanto la sussistenza della destinazione a dimora abituale.
Tuttavia non si creda che l’Amministrazione finanziaria abbia gettato la spugna in materia. Attesa ancora la persistente posizione della stessa, attestata nel disconoscimento del beneficio in caso di mancato trasferimento della residenza, non resta che prendere atto mestamente che ancora residuano margini sufficienti per ritenere la questione tutt’altro che pacificamente risolta.
A margine (ma in tema), prima di chiudere, un’ultima osservazione, che forse non risponde al tuo quesito iniziale, ma aggiunge un altro piccolo tassello “
per capire quali sono gli elementi sui quali la Cassazione si muove sul tema”. Come si accennava all’inizio, la Suprema Corte, cercando di interpretare le ragioni della norma, non si limita a valutare le sole circostanze oggettive delle vicende, ma, a volte, ritiene necessario valutare attentamente anche la situazione soggettiva del contribuente, legando il requisito oggettivo a quello soggettivo, nel rispetto di un
unicum logico, tra le diverse componenti interessate.
Mi spiego meglio con un esempio: l’emblematico e innovativo giudizio di Cassazione n°23064/2012. La normativa vigente, in materia di agevolazioni “prima casa”, prevede che l’”agevolato” non sia titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione o nuda proprietà su “
altra casa di abitazione”. Ora, la vicenda riguarda un avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate revocava ad un professionista le agevolazioni “prima casa” riconosciute in relazione ad un compravendita di un immobile: il contribuente, infatti, risultava titolare di un altro immobile, accatastato A/2, acquistato usufruendo, anche per tale bene, dei benefici “prima casa”.
Ora, la Commissione tributaria regionale rigettava il ricorso dell’Agenzia delle Entrate (peraltro l’avviso di liquidazione era già stato annullato dalla Commissione tributaria provinciale e confermato in appello) argomentando che, nonostante al momento dell’acquisto i contribuente fosse stato proprietario di altro immobile accatastato A/2, i benefici “prima casa” dovevano essergli riconosciuti poiché, in realtà, il precedente immobile era in quel momento destinato a “studio professionale”, tant’è che successivamente era stato accatastato in A/10, come immobile non abitativo.
Non doma, l’Agenzia delle Entrate, avverso questa conclusione, proponeva ricorso per Cassazione, contestando la violazione di legge per il fatto che la Commissione tributaria regionale si era sbagliata nel valutare la norma, dando rilievo ad una circostanza soggettiva del contribuente (destinazione a studio professionale) del tutto irrilevante, e non all’accatastamento che lo qualificava oggettivamente come appartamento per civile abitazione. Poteva la Suprema Corte esimersi nel bacchettare sonoramente sulle dita per l’ennesima volta l’Agenzia delle Entrate? No, ovviamente. E, infatti, rigettava il ricorso e l’impostazione “restrittiva” dell’Agenzia delle Entrate, in quanto ciò che realmente risulta decisivo è il fatto che l’utilizzo del primo immobile di proprietà come studio professionale lo rende non più idoneo ad abitazione, nonostante l’accatastamento “abitativo”. Per la Suprema Corte, infatti, ciò che conta è l’idoneità abitativa dell’immobile, per dimensioni e caratteristiche complessive a sopperire ai bisogni abitativi del contribuente e della sua famiglia (nel caso specifico si trattava di un’unità abitativa di poco più di 22 metri quadrati), alla luce ovviamente di un’attenta verifica della reale utilizzazione da parte dell’interessato.
Il giudice di legittimità non ha interpretato in senso esclusivamente oggettivo la norma. Ha voluto attribuire alla locuzione “
altra casa di abitazione” il significato “soggettivo”, nel senso che se così non fosse, il legislatore, anziché usare l’espressione “
altra casa di abitazione”, avrebbe usato sicuramente l’espressione “
altra unità immobiliare ad uso abitativo”. Il legislatore, cioè, non può aver supposto che il possesso di un negozio, di un magazzino, di un ufficio, o di un altro qualsiasi immobile non utilizzabile come abitazione fosse incompatibile con la concessione dell’agevolazione. Avendo, viceversa, utilizzato la dizione “
altra casa di abitazione”, la
ratio legis, secondo la Cassazione, deve essere ricercata in concreto nella possibilità che il diritto del contribuente possa o meno tradursi nella possibilità di avere la disponibilità già di una prima casa e, quindi, se ciò sia impedito dalle circostanze sopra esposte (immobile non idoneo ad essere adibito ad abitazione principale prima casa), al contribuente stesso devono essere comunque riconosciuti i benefici di legge.