mah! a leggere le sentenze, non è così scontato
Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidità mediante la creazione di una camera d'aria, non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo (deposito, stenditoio, ecc.): in questa ultima ipotesi l'appartenenza deve essere determinata in base al titolo, ed in mancanza, poiché il sottotetto non è compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza (quali il tetto, il muro maestro, il suolo ecc.) o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 n. 1 cod. civ. si rende applicabile solo quando il sottotetto risulti oggettivamente destinato. anche soltanto in via potenziale, all'uso comune o all'esercizio di un uso comune.
* Cass. civ., sez. II. 18 ottobre 1988, n. 5668, Scarpi c. Giuliani. Nello stesso senso, v. Cass. civ., 29 ottobre 1992, n. 11771.
Il "sottotetto" di edificio condominiale. sia che assolva esclusivamente una funzione isolante a protezione dell'ultimo piano, costituendo pertinenza e, quindi, parte integrante dello stesso, sia che assolva anche altre funzioni ovvero abbia dimensioni e caratteristiche tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo - la cui appartenenza va determinata solo in base ad un titolo - può considerarsi di proprietà comune se, per caratteristiche strutturali e funzionali, risulti, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto), assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non è, quindi, oggetto di comunione ma costituisce pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
* Cass. civ., sez. Il, 15 giugno 1993, n. 6640. Giussani c. Albanese e altra.
Il sottotetto di un edificio, quando assolve l'esclusiva funzione di isolare i vani dell'alloggio ad esso sottostanti si pone in rapporto di dipendenza con i vani stessi cui serve da protezione e non può essere, pertanto, da questi ultimi separato senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di complementarietà dell'insieme. Conseguentemente, non essendo in tale ipotesi il sottotetto idoneo a essere utilizzato separatamente dall'alloggio sottostante cui accede, non è configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte del proprietario di altra unità immobiliare.
* Cass. civ., sez. Il, 8 agosto 1986, n. 4970, Colarossi c. Corsetti.
Sottotetto negli edifici condominiali e permesso di costruire
Consiglio di Stato , sez. IV, decisione 14.09.2005 n° 4744
Al sottetto di un edificio condominiale, in assenza di titolo idoneo, si applica la presunzione di comunione ex art. 1117, n. 1, c.c. qualora il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato, sia pure in via potenziale, all’uso comune oppure all’esercizio di un servizio di interesse comune.
Lo ha stabilito dal Consiglio di Stato, con la decisione n. 4744 del 14 settembre 2005, richiamando il costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione.
Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado che, accertata la comunione del sottotetto, aveva annullato il permesso di costruire per ristrutturare e sopraelevare l’unità rilasciato ai condomini dell'ultimo piano senza il necessario consenso degli altri condomini.
(Altalex, 22 settembre 2005)
I sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati ad isolare il corpo di fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell'intero edificio condominiale (o del suo ultimo livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta ad un piano a sé stante, essendo destinati ad una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d'aria a protezione degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall'umidità. La ristrutturazione di locali del genere non comporta sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., nei soli casi di modificazioni soltanto interne, contenute negli originari limiti dell'edificio senza alcun aumento della sua altezza.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164, Canu Salvatore c. Canu Francesca.
Il sottotetto di un edificio condominiale può essere ritenuto pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano soltanto se assolve, mediante la creazione di una camera d'aria, all'esclusiva funzione di isolamento e di protezione dell'appartamento stesso dal caldo, dal freddo o dall'umidità e non anche nella diversa ipotesi che esso abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da permettere l'utilizzazione come vano autonomo. In quest'ultima ipotesi, l'appartenenza deve essere stabilita in forza di idoneo titolo e, in mancanza di questo, sulla base della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., pur non comprendendo questa norma esplicitamente il sottotetto nell'elencazione delle cose comuni dell'edificio, allorquando esso risulti oggettivamente destinato, anche soltanto in via potenziale, all'uso comune.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9788, Casalgrandi c. Bellei, in Arch. loc. e cond. 1997, 973.
Il sottotetto di un edificio, non compreso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., costituisce una pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano quando assolva alla funzione esclusiva di isolarlo e proteggerlo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, formando una camera d'aria a sua difesa. Esso, tuttavia, realizza una funzione diversa dalla mera camera d'aria quando sia destinato all'uso comune di tutti i condomini, come nel caso in cui sia dotato di una comunicazione diretta con il vano scale comune e di un lucernario per l'accesso al tetto comune; destinazione che costituisce il fatto noto ex art. 2727 c.c. posto dalla legge a base della presunzione di comunione ex art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4509, Ferigo c. Mengoli.
I sottotetti di un edificio in condominio, non essendo inclusi tra le "parti comuni" specialmente contemplate dall'art. 1117 c.c., non costituiscono sempre ed incondizionatamente oggetto di comunione, ancorché manchi un titolo che disponga ex professo altrimenti: invero, per ritenerli comuni è altresì necessario - in aderenza al criterio generale enunciato nella parte finale del n. 1 della detta norma, e ribadito anche nei numeri successivi - che, per le loro peculiari caratteristiche strutturali e funzionali, essi risultino oggettivamente destinati, sia pure in via potenziale, all 'uso comune o ad un servizio d'interesse comune, o comunque annessi alle parti comuni, sì da costituire elementi integranti di esse
* Cass. civ., 22 giugno 1961, n. 1493.
Mentre il tetto, ove non risulti il contrario dal titolo, si presume comune a tutti i condomini dell'edificio, il sottotetto, di regola, cioè ove il contrario non risulti dal titolo ed ove non sia dimostrata, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, la sua destinazione ad un servizio comune o la sua annessione alle parti comuni, sì da costituire elemento integrante di esse, appartiene al proprietario dell'ultimo piano del quale è una pertinenza in quanto assolve, rispetto ad esso, una funzione isolante e protettiva. Se invece il sottotetto assolve esclusivamente alla funzione di copertura dell'edificio, rientra nella nozione di tetto e, quindi, nella presunzione di comunione di cui all' art. 1117 c.c..
* Trib. civ. Avellino, 5 giugno 1995, n. 420, Andrita c. Siniscalchi, in Arch. loc. e cond. 1995, 866.
Poiché il sottotetto non è incluso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., al fine di stabilire se esso sia di proprietà esclusiva o comune è necessario tenere conto di quanto è stabilito dal titolo di acquisto; in difetto di una clausola espressa, si deve fare riferimento alla destinazione funzionale ed obiettiva del sottotetto nel singolo edificio.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 810.
Il concetto di struttura organica di un edificio comprende sia la conformazione esterna che quella interna dello stesso. Rientra pertanto nel divieto di apportare qualunque variante alla struttura organica dell'edificio la limitazione posta ai singoli condomini di non realizzare modifiche nell'interno della proprietà esclusiva, mutando la destinazione dei locali posti nel sottotetto.
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 19 settembre 1995, n. 2597, Piazza e. Condominio di via Palazzi n.6 in Milano e Arosio, in Arch. loc. e cond. 1996, 71.
Poiché la presunzione legale di comunione di alcune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 cod. civ. si fonda sulla destinazione all'uso e al godimento comune, risultante da elementi obiettivi, cioè dall'attitudine funzionale della parte di cui trattasi al servizio o al godimento collettivo, deve ritenersi che al sottotetto il quale, per sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo al godimento di un'unità immobiliare oggetto di un singolo diritto di proprietà, non si estende la presunzione legale di cui al citato art. 1117 cod. civ., in quanto la destinazione legale vince la presunzione legale di comunione.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 gennaio 1980, n. 613, Condominio di Via Farneti 10, Milano c. Bonomi, in Arch. loc. e cond.
1980, 377.
È da ritenere illegittima l'effettuazione nel sottotetto, senza alcuna autorizzazione del condominio e delle competenti autorità, di lavori che comportino la modifica del solaio (con lesione del vaso di espansione) nonché di parti comuni dello stabile (con lesione della servitù di accesso per l'ispezione del tetto e danno estetico).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1561, De Vilas c. Cond. di Via Ingegnoli n. 18 di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 541.
Il sottotetto, pur non costituendo una parte comune c.d. necessaria dell'edificio condominiale, deve essere considerato di proprietà comune quando sia strutturalmente destinato, anche potenzialmente, ad un servizio o ad un uso comune.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990.
Aumento volumetrie: illegali le scale di collegamento tra vani abitabili e vani non abitabili, intervento da considerare come variazione essenziale e quale mutamento della destinazione d'uso - TAR Catanzaro, Sez. II, 07/02/2006, n. 125
La realizzazione di una scala la cui funzione è quella di rendere comunicanti il sottotetto e il sottostante piano di una abitazione è senza alcun dubbio rivelatore dell’intento di rendere abitabile il sottotetti e i vani interessati non possono considerarsi volumi tecnici.
Le scale abusivamente costruite lungi da avere una (fantasiosa) funzione estetica o decorativa, avevano come unica logica funzione quella di rendere comodamente accessibile il sottotetto che in conseguenza di ciò, benché non abitabile alla stregua del regolamento edilizio, sarebbe stato in concreto destinato ad una funzione abitativa.
Ora poiché il sottotetto in quanto tale, cioè utilizzato come mero locale di sgombero, non viene considerato nella cubatura assentita al momento del rilascio del titolo autorizzatorio, è chiaro che la sua diversa destinazione a locale abitato comporti, come ha ritenuto il tecnico comunale, un (illecito) aumento della cubatura utilizzabile.
E’ questo consistente aumento di volume utile, e non lo scarso aumento di superficie collegato all’esistenza dei gradini, che il provvedimento ha sanzionato prima con l’ordinanza di sospensione dei lavori e poi con l’ingiunzione di demolizione, atteso che la fattispecie concreta si iscrive perfettamente, alla luce di una corretta interpretazione, non ingenuamente formale, nell’ipotesi di cui agli artt. 31 e 32 del T.U. sull’edilizia.
Pure disatteso deve essere il motivo di doglianza con il quale si sostiene che non poteva essere ingiunta la demolizione di un’opera in relazione alla quale poteva essere ottenuta la concessione in sanatoria.
Stante la difformità essenziale in cui si è concretizzato l’abuso e stante la sostanziale destinazione a locali abitativi di locali che delle caratteristiche di tale utilizzabilità erano privi, l’abuso non era suscettibile di sanatoria.
L’accertamento di conformità, oggi disciplinato dall’art. 36 del T.U. sull’edilizia, prevede infatti tale possibilità solo ove “l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente …”,conformità mancante, nel caso de quo, atteso che il ricorrente stesso sottolinea la non abitabilità delle porzioni di sottotetto che le due scale avevano la funzione di inglobare nell’abitazione