Il rischio che si corre, di questi tempi, in caso di mancata registrazione del contratto è davvero alto, non solo dal punto della sanzione amministrativa, ma anche sotto il profilo del contenuto del rapporto contrattuale, al quale viene imposto, voglia o meno il locatore, un altro atto avente contenuti profondamente diversi e oltremodo svantaggiosi per il locatore stesso.
Prima della normativa sulla cedolare (D.Lgs. n°23/2011), la mancata registrazione del contratto poteva essere aggirata agilmente con la registrazione tardiva, e cioè successiva al termine di legge, sia se ordinata dal giudice, in sede di contenzioso già pendente, sia prima di esso, comportando solo un maggior onere fiscale (pagamento di una sanzione), producendo tutti gli effetti pattuiti tra le parti, circostanza non da poco, se si considera che il contratto riceveva piena tutela giuridica.
Le violazioni di rilievo esclusivamente tributario, in buona sostanza, non potevano essere causa di nullità di contratto, non potendo farsi discendere dal mancato pagamento di un tributo la perdita dell’esercizio del diritto sia del conduttore di detenere legittimamente l’immobile locato, sia del locatore di percepire un corrispettivo. L’importante era che la registrazione, prima o dopo, venisse effettuata e che il Fisco raggiungesse il suo scopo attraverso il ravvedimento dei contraenti del contratto.
Prevaleva, cioè la regola per cui le violazioni di ordine fiscale non andavano ad interferire con la disciplina di validità del contratto stesso. Un conto, infatti, è il contratto stipulato in frode alla legge (art. 1344 cod. civ.), e un altro, invece, quello che froda il Fisco: nel primo c’è l’illiceità della causa del contratto che ne comporta la nullità (art. 1418 cod. civ.); nel secondo, rimanendo gli effetti della frode limitati nell’ordinamento tributario, questa trova la sua sanzione nell’ambito delle disposizioni fiscali, dove non è prevista né la nullità e né l’annullabilità.
Ora, il suddetto decreto, con un nuovo trend normativo, a tutela dell’interesse generale al rispetto della normativa fiscale, si è disallineato dalla precedente disciplina (creando, tra l’altro, quello scompiglio e quell’incertezza tra gli operatori del settore, giudici compresi, che permane a distanza di quasi due anni dalla sua entrata in vigore): i commi 8 e 9, infatti, sono estremamente precisi, da un lato, nel confermare che la mancata (o errata) registrazione del contratto, entro il termine stabilito dalla legge, comporta la nullità del contratto stesso (l’espresso richiamo all’art. 1, comma 346 della legge n°311/2004 non lascia dubbi in proposito), sono invece severi, dall’altro, nel prevedere che al rapporto di locazione, pur irregolare, ben lungi dal cessare, viene automaticamente attribuita una durata quadriennale a decorrere dalla sua (tardiva) registrazione, sia che questa avvenga in modo volontario oppure d’ufficio, e un canone “catastale” (pari cioè a tre volte la rendita catastale dell’unità immobiliare).
Tuttavia, l’ampia fascia di locatori in nero – che tale decreto si illudeva di fare emergere – non è stato affatto scalfita o intimorita dalle creative sanzioni predisposte dal legislatore, né si sono riscontrate schiere di inquilini in marcia verso gli uffici del Registro per denunciare i padroni di casa evasori. Ha forse ragione Francesco Crispi, oggi come circa centocinquanta anni orsono, quando pronunciò il suo famoso discorso sulla odiosa “tassa sul macinato”: “ogni imposta progressiva che questo Paese sembra capace di stabilire, funziona soltanto se calcolata non in proporzione della ricchezza, ma in proporzione della miseria”.