Buongiorno grazie delle varie risposte. Pensavo che si potesse rinunciare alla concessione in sanatoria (come a un qualsiasi diritto disponibile) mentre invece ho capito che si può ritirare solo la domanda di condono ancora in corso inevasa.
Se ho capito bene quindi (ammesso che si possa tornare dal punto di vista reale e urbanistico allo status quo del ‘39, con o senza annullamento dell’ultimo titolo edilizio da parte del comune) dal punto di vista catastale sarebbe comunque possible avere due u.i. distinte (e censite in categorie diverse) sebbene tra loro comunicanti. Cioè avere oggi in catasto un negozio C/1 comunicante con un’abitazione A/2, con due rendite separate.
In ogni caso per raggiungere quello che interessa, se capisco bene, si tratterebbe di fare come un frazionamento dal punto di vista urbanistico (nel caso in cui si possa tornare alla situazione del ‘39) oppure presentare una nuova pratica edilizia, “con tutto quello che ne può conseguire”, che porti alla stessa situazione.
Volevo chiedere (in modo tale da capire l’argomento ed essere in grado di interloquire col tecnico da incaricare) quali sono i problemi che possono sorgere dal presentare questa pratica (scia/cila?)
A me da profano sembrerebbe chiaro che dal punto di vista urbanistico nel 1939 (e, con documenti alla mano, almeno da fine ottocento) c’era un negozio con abitazione, ovvero due cose anche urbanisticamente distinte e separabili, e quindi mi sembrerebbe non problematico tornare a quella situazione, o ricostruirla con una nuova pratica edilizia in tal senso, in più frazionandola.
Aggiungo infine che l’immobile si trova in centro storico a Roma e lo stato del ‘39 assumo che possa considerarsi legittimo (non sono noti i progetti dell’edificio, che fu costruito nel seicento quando immagino non c’erano regolamenti edilizi di dettaglio. Il primo a roma della specie credo sia del ‘34).