A proposito di frazionamento e necessita' di un ulteriore pulsante del citofono,che non c'e', per la nuova abitazione che fare???il condominio non ha intenzione di cambiare l'impianto,perche' funziona(anche se l'elettricista che sta' facendo i lavori nel nuovo alloggio ,OVVIAMENTE,dice che l'impianto e'vecchio e mal supporterebbe una nuova utenza senza cambiare alimentatore e fili ),il nuovo "frazionato" pretende a spese del condominio (perche' ognuno si ripagherebbe il nuovo pulsante) la nuova tastiera per inserire il pulsante nuovo.Che fare????? grazie per le risposte
decide la maggioranza
ma bisogna anche essere onesti visto che vi ritrovate con un citofono nuovo, venirsi incontro
Aggiunto dopo 5 minuti :
Valex quanto hai riportato sono sicuro è da intendersi per la eventuale sopraelevazione da parte del condomino o altri dell'ultimo piano, la legge parla chiaro è un aumento di cubatura e si intacca ovviamente la stabilità della fondamenta.
Ma se io ho un appartalemtno di 150mq e ne voglio ricavare 2 (appurato che non ci siano limiti difficilmente riscontrabili in un regolamento condominiale contrattuale) devo chiedere il permesso all'assemblea condominiale?
é una mia proprietà privata, non ledo i diritti di nessuno se non quelli di dover ricalcolare i millesimi e ridistribuirli. ovviamente a mio carico.
i millesimi rimangono quelli dell'appartamento da 150m e li dividi fra le 2 u.i. indicandolo nei rogiti
Aggiunto dopo 20 minuti :
Per Giorgino: lo sai che quando tratti del valore di un immobile in un condominio (o peggio nel caso di comproprietà) esso è determinato nel solo dall'immobile stesso ma anche dalle parti in comune?
Lo sai che nell'atto di vendita di ogni immobile in un condominio sono specificate le parti comuni? (se non contano nulla, perchè avrebbero consumato l'inchiostro?)
Evidenziami il fondamento giuridico che pone alla base della tua affermazione : "In questo senso non c'è nessuna preclusione in condominio."
[center:l4ujdgsz]"Ancor di più un nuovo partecipante non è una novità in condominio, visto che se un condomino ha quattro appartamenti e ne vende uno anche in quel caso si aggiunge un nuovo partecipante."[/center:l4ujdgsz]
Questo aspetto è già stato sviscerato in post precedenti; proseguendo la discussione, per non appesantire la lettura ho omesso i vari distinguo dovuti alle casistiche "teste" vs "Unità Immobiliari".
Per le utenze dei gestori: oltre ad esperienza di persone a me vicine, fatti un giro tra i forum e leggi cosa, chi è in procinto di dividere giuridicamente il proprio immobile, si è sentito rispondere da che distribuisce luce, gas ed anche acqua !!!
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Per tutti: mi fate capire perchè l'aspetto giuridico e quello dei diritti terzi (che ripeto è un diritto che nemmeno un ente pubblico può prevaricare) viene trascurato alla grande?
Il FRAZIONAMENTO giuridicamente vuol dire TRASFERIMENTO DIRITTI TERZI! cosa ben differente da una braga (sempre secondo la mia opinione - ma disposta ad ascoltare le argomentazioni validanti)
E l'INTRODUZIONE DI TERZI (vedi semplificazione precedente) altera i rapporti originali (o iniziali accettati contrattualmente).
l'alterazione dei rapporti originali (....già detto....) costituisce aggravio di servitù
Compiere le azioni sperando che "me la cavo", non lo trovo affatto etico ----> ma questo è ovviamente una mia opinione!
Se trovi il condomino che nelle pieghe della legge ci sguazza, lui si compra il villone, il frazionante va a vivere sotto i ponti e probabilmente (se riesce ad incastrarti come corresponsabile) ti fa cambiare mestiere --- sempre secondo mia opinione ......
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In particolare per Giaggio:
Perchè vedi solo l'aspetto "posto auto"? Forse perchè su questo tema i terzi sono disposti ad intentare le cause perchè è evidente il discorso di aggravio di servutù e lesione del diritto reale?
E come la metti con la legge Tognoli?..........
il fatto che comune e soc dei servizi, impongano spesso, l'autorizzazione del condominio, non vuol dire che il condominio può legalmente impicciarsi sempre del frazionamento di una u.i.
semplicemente comune e soc varie, si comportano in modo codardo, per non aver problemi, danno al soggetto più litigioso il potere di fatto di creare ostacoli, ma questo non vuol dire che la legge lo prevede
purtroppo in italia la giustizia è lunga e costosa, ma ci sono stati e ci saranno anche in futuro, diversi ricorsi al Consiglio di Stato fatti dai singoli per vedersi riconoscere che la regola del comune che impone il permesso del condominio gli aveva creato un danno
purtroppo i comuni sanno che è più facile avere dei problemi dal condominio piuttosto che dal singolo
e il condominio è una massa il cui cervello è quello del più deficente che non ragiona ma o vuole una rivalsa per invidia, o ha in passato litigato con qualcuno o è un delinquente che vuole guadagnare
Aggiunto dopo 2 minuti :
l'articolo che regolamenta l'uso delle parti comuni da parte del singolo è sempre e solo l'art 1102 c.c.
Aggiunto dopo 4 minuti :
.... Perchè mai i gestori delle utenze richiedono l'autorizzazione dell'amministratore?
perchè è facile trovare un condomino invidioso e irragionevole e non vogliono ritrovarsi in tribunale per decenni, sostenendone le spese, per questioni che non possono decidere come devono essere fatte, sono le parti in causa che devono "convivere" ma non ne sono capaci!
Aggiunto dopo 10 minuti :
Pensa che c'è una sentenza del Consiglio di Stato che ha respinto l'appello del comune di Milano il quale chiedeva la delibera assembleare per concedere dei lavori sulle parti comuni
CONCESSIONE E AUTORIZZAZIONE EDILIZIA - NON È NECESSARIO L'ASSENSO DEI CONDOMINI AI FINI DEL RILASCIO DELLA CONCESSIONE O DELL'AUTORIZZAZIONE EDILIZIA PER LE OPERE NELLE PARTI COMUNI DEL CONDOMINIO
(Consiglio di Stato, Sezione V, 23 giugno 1997, n. 699)
In molti uffici tecnici comunali è diffusa l'abitudine di chiedere, in presenza di domande di concessione o autorizzazione edilizia interessante in qualche modo il condominio o le parti comuni, atti di assenso da parte degli altri condomini, verbali di assemblea, controfirme sui disegni da parte dell'amministratore e così via, a seconda della fantasia o dell'umore del momento. Malgrado l'evidente arbitrarietà di tali richieste, al limite della vessazione e comunque censurabili in linea di principio anche ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 (l'amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria), si ritiene opportuno rendere nota una conclusiva decisione sul punto, del massimo organo di giustizia amministrativa (contro il Comune di Milano, si noti, non contro il Comune di Roccacannuccia).
A prescindere dalla banalità dell'oggetto trattato in causa (una canna fumaria) e fermi restando, ovviamente, i rapporti condominiali come regolati dalle norme civilistiche, risulta evidente che la pubblica amministrazione non è competente a "conoscere" i rapporti tra privati e non può imporre al privato la dimostrazione dell'assenza di pretese da parte di terzi.
La lettura della sentenza, una volta tanto chiarissima, non necessita di altri commenti.
Diritto - L'appello del Comune di Milano è infondato.
La questione dedotta in giudizio si risolve nel decidere se l'autorizzazione edilizia per la realizzazione, in un muro perimetrale di un edificio, di una canna fumaria, possa esser rilasciata al singolo condomino, proprietario dell'unità condominiale che la canna fumaria è destinata a servire, come ha ritenuto il T.A.R., ovvero debba essere rilasciata al condominio o al condomino previo assenso dei condominio, come sostiene l'amministrazione appellante.
Va premesso che, stante l'ampia e generica formulazione dell'art. 4, comma 1, della legge 10 del 28 febbraio 1977 (la concessione è data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla) la legittimazione a chiedere la concessione, e la considerazione vale anche per l'autorizzazione edilizia, compete a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori oggetto del progetto.
Ciò posto, il Collegio condivide la conclusione cui è pervenuto il giudice di primo grado.
In tal senso depongono sia il disposto dell'art. 1102 c.c. relativo all'uso della cosa comune da parte dei comunisti (Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto), sia la regola sancita dal successivo art. 1105 sull'amministrazione della cosa comune (Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere all'amministrazione della cosa comune), sia, infine, nella materia del condominio negli edifici, la cui caratteristica è la compresenza di parti di proprietà esclusiva (unità immobiliari) e di parti necessariamente comuni, la specificazione apportata ai suddetti principi generali in materia di comunione dall'art. 1122 c.c., secondo cui "Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio" letta in forma positiva, la norma conferisce al condomino una sorta di disponibilità ordinaria delle parti comuni dell'edificio pertinenti alla sua unità immobiliare.
Le suddette regole e principi lasciano concordemente dedurre che è in facoltà del condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni, siano strettamente pertinenti, sotto il profilo funzionale e spaziale, alla sua unità immobiliare, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere, a nome proprio, l'autorizzazione o la concessione edilizia relativamente a tali opere.
Siffatta conclusione resiste alle obiezioni dell'amministrazione appellante.
L'osservazione che con il rilascio dell'autorizzazione al singolo condomino si consentirebbe di attuare una modificazione strutturale del bene all'insaputa dei comproprietari dello stesso, costituisce una petizione di principio, perché la questione da risolvere è appunto se l'autorizzazione possa essere data indipendentemente dall'intervento degli altri condomini.
Neppure è vero che, se si prescindesse dal consenso degli altri condomini, questi ultimi sarebbero passibili di sanzioni amministrative per le eventuali difformità realizzate in corso d'opera, giacché le sanzioni sono a carico degli autori dei comportamenti illeciti e l'autore della costruzione in difformità dalla concessione o autorizzazione va individuato, normalmente, nel titolare della stessa; è vero, semmai, che esigendo che gli altri condomini condividano la domanda di autorizzazione si pretende che essi assumano una responsabilità priva di sostanziale giustificazione.
Quanto al fatto che l'opera possa esser contestata dagli altri condomini, l'assenza di danno altrui è un limite sostanziale che, per la sua natura negativa, è connessa con valutazioni soggettive ed esula, comunque, dalle possibilità di accertamento della pubblica amministrazione, la quale deve limitarsi al titolo formale di disponibilità della porzione immobiliare e rilascia le autorizzazioni sempre con salvezza dei diritti dei terzi (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, n. 1341 del 20 dicembre 1993).
D'altra parte, l'istituzione delle autorizzazioni edilizie comunali, come già prima quella della concessione edilizia, nulla ha aggiunto ai rapporti di carattere civile tra i titolari dei diritti sui beni immobili, né ha trasformato il diritto che si ha di opporsi all'opera da altri intrapresa, in una potestà di veto, sicché, resta escluso, anche per tale via, che la regola del citato art. 4 della legge n. 10 del 1977 si traduca nell'obbligatorietà del preventivo assenso degli altri condomini.
E, se è vero che all'amministrazione comunale non può e non deve essere fatto carico di dirimere le controversie civili, come giustamente afferma l'amministrazione appellante, neppure può esser fatto carico al privato di dimostrare preventivamente l'assenza di contestazioni, munendosi, così come richiede il Comune di Milano, di assenso con firma autenticata dell'amministratore e delega con firma autenticata degli altri condomini.
In conclusione l'appello, con le precisazioni che precedono, dev'essere respinto.
Le spese dei gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V) respinge l'appello proposto dal Comune di Milano.
Condanna l'amministrazione appellante a rifondere alla resistente le spese del grado di giudizio, liquidate in lire 4 milioni.
(Omissis)