pensoperme

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Ho trovato questo post cercando delucidazioni sull'argomento e lo reputo interessante:
Affinché si configuri l'usucapione occorre la convinzione morale e psicologica di esercitare sul bene un potere simile a quello del proprietario e la consapevolezza di essere (erroneamente) proprietario del bene. Nel caso di specie lei sapeva benissimo di non essere proprietario ma un mero possessore.
Il possesso in buona fede è quello che l'usucapente pone sul tavolo, pacifico, mica dice "volevo rubartelo", ma con l'indisturbato possesso per un determinato tempo è a posto. Sta a chi resiste provare il contrario. NOn mi risulta che l'usucapione preveda però buona fede o mala fede, se io uso un campo che credo non sia di nessuno o so esser tuo, sta al proprietario (tu) impedirmelo, se ci sto abbastanza è mio. L'usucapione è nata per far si che la proprietà rurale venisse sfruttata. Il principio che segue è " se hai un bene ma non lo sfrutti, fai un danno alla comunità, quindi la legge tutela chi quel bene sfrutta per un tempo ragionevolmente lungo, talmente lungo che si presuppone che per te quel bene sia inutile".
 

Manola 62

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Art. 1144 c.c. altrui tolleranza: un buon avvocato potrebbe dimostrare che non vi era l'animus ....
Secondo me il problema cmq non sussiste poiché in asse ereditaria, aperta la successione questa si chiude dopo 10 anni e se le sorelle non hanno avanzato pretese, veti o obiezioni sulla demolizione e nuova costruzione a distanza di 30? anni, non credo possano fare alcun ché
Allego quanto segue:
In giurisprudenza si è posto, altresì, il problema dell'acquisto per usucapione dei beni dell'eredità. Il possesso valido ai fini dell'usucapione dell’eredità spetta al chiamato all’eredità, ex art. 460 c.c. senza la necessità della materiale apprensione e, nel caso in cui vi sia una pluralità di chiamati all’eredità, con l’apertura della successione si verifica una situazione di compossesso che abilita ciascun chiamato all’esercizio delle eventuali azioni possessorie da esercitarsi anche a carico di uno dei coeredi qualora impedisca agli altri di partecipare al godimento di un cespite (si veda Cassazione civile , sez. II, 28 gennaio 2005 , n. 1741). Ne consegue che, ove uno dei coeredi chiamati, intenda far valere l'usucapione su un bene dell'eredità, dovrà fornire la prova dell'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività (o mediante atti di interversione del possesso). A tale fine, non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, cosi evidenziando una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" (così Cassazione civile , sez. II, 20 agosto 2002 , n. 12260).
 

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