E’ opinione concorde, in ambito giurisprudenziale, che la previsione di canoni di locazione in misura differenziata sia legittima e non si ponga in contrasto con il disposto di cui all’art. 79 (Patti contrari alla legge) della legge n°392/1978, purché non sia finalizzata ad attuare una sorta di determinazione a priori dell’aggiornamento della misura del canone, contrastando, in tal caso, con quanto stabilito dall’art. 32 (Aggiornamento del canone) della legge stessa, e venendo, quindi, colpita da nullità.
Deve pertanto ammettersi la possibilità per le parti di prevedere, al momento della stipula del contratto (e non già successivamente), variazioni del canone per un determinato numero di anni di durata del contratto o addirittura (come nel caso di specie) nella sola ipotesi di rinnovazione del contratto stesso, a patto, però, che la necessità di aumenti graduali scaturisca da determinati fatti o vicende aventi una incidenza rilevante sulla funzione economica dell’intero rapporto contrattuale, fattori del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta, chiaramente ed espressamente evincibili a contratto.
Indispensabile, quindi, per la validità di una previsione di canone diverso per le varie annualità del contratto, è:
a) che sia espressamente menzionato il canone complessivo, perché solo in tal modo è possibile accertare, se necessario, il canone medio mensile (come per la determinazione dell’indennità di avviamento che – come precisato da Bastimento e Umberto – il conduttore perde nel caso in cui formalmente manifesti la propria volontà di non voler beneficiare di un ulteriore rinnovo del contratto);
b) che vi sia la specifica indicazione dei motivi giustificativi di tale scelta: ad es. le spese rilevanti di manutenzione/ristrutturazione che inizialmente il conduttore deve affrontare per adattare l’immobile appena preso in locazione alle proprie esigenze, e l’interesse del locatore di evitare di concorrere in tali spese, ovvero la previsione del conduttore di sviluppo futuro dell’attività svolta nel bene locato.
Le motivazioni, però, sono – si ribadisce – fondamentali: se la clausola non contiene alcun utile riferimento ai profili giustificativi degli aumenti, risulta evidente l’intento di eludere i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge n°392/1978. L’accertamento di tale clausola è, comunque, devoluto insindacabilmente al giudice di merito.
Ora, mancando nel caso di specie i presupposti, in presenza dei quali deve ritenersi pienamente valida la clausola che prevede un aumento del canone nel corso della durata del rapporto di locazione, assai dubbia è, a parere di chi scrive, la legittimità della clausola posta all’attenzione del forum.