Allora sarò più chiaro:
oggi, unica soluzione per affrontare una causa documentata, è proprio provare a sporgere querela di falso per il documento firmato, e vi assicuro che non è affatto un caso limite: ultimamente sta diventando è una "moda"!!!
se avete voglia di leggere......
Cassazione civile , sez. II, sentenza 28.05.2007 n° 12399
Con la sentenza che si annota, la Cassazione opera un significativo intervento nell’ambito del processo civile, ribadendo la piena ed assoluta autonomia del procedimento per querela di falso.
In particolare, la Corte ha statuito che “la sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale (cioè non definitiva) ma rappresenta l’epilogo di un procedimento che – pur se, come nella specie, attivato in via incidentale – è comunque autonomo che ha per oggetto l’accertamento della falsità o meno di un atto avente fede privilegiata”.
La querela di falso, disciplinata dagli artt. 221 e ssgg. c.p.c., come è noto, configura il procedimento, diretto ad accertare l’autenticità o la falsità della prova documentale.
Per giurisprudenza unanime, “la querela di falso, sia essa proposta in via principale ovvero incidentale, ha il fine di privare un atto pubblico (od una scrittura privata riconosciuta) della sua intrinseca idoneità a “far fede”, a servire, cioè, come prova di atti o di rapporti, mirando così, attraverso la relativa declaratoria, a conseguire il risultato di provocare la completa rimozione del valore del documento, eliminandone, oltre all'efficacia sua propria, qualsiasi ulteriore effetto attribuitogli, sotto altro aspetto, dalla legge, e del tutto a prescindere dalla concreta individuazione dell'autore della falsificazione. Ne consegue che la relativa sentenza, eliminando ogni incertezza sulla veridicità o meno del documento, riveste efficacia “erga omnes”, e non solo nei riguardi della controparte presente in giudizio” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 20 giugno 2000, n. 8362).
La querela può essere proposta in via principale, con una specifica domanda avente come unico oggetto la dichiarazione della falsità del documento, ovvero in via incidentale, in corso di causa, nella quale viene prodotto un documento considerato rilevante ai fini della decisione1, idoneo ad assumere efficacia di fede privilegiata (presupposto, questo, necessario del procedimento di verificazione giudiziale a norma degli artt. 221 ssgg. c.p.c. – cfr. Cassazione civile, sez. I, 29 settembre 2004, n. 19539, secondo la quale ciò comporterebbe l’inammissibilità della querela avverso la “consulenza tecnica d’ufficio”, che si distingue nettamente dalla prova documentale e che, riguardo alle affermazioni, constatazioni o giudizi in essa contenuti, non fa pubblica fede - potendo essere contrastata con tutti i mezzi di prova diversi dalla querela di falso - né vincola il giudice, che può liberamente disattenderla).
In via principale, la querela si propone con citazione al giudice competente, ossia al Tribunale, (che, in materia, ha competenza funzionale ed inderogabile - cfr. Cassazione civile, sez. III, 11 dicembre 1991, n. 13384), in composizione collegiale, dal momento che sia l’art. 225 c.p.c., non modificato dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, disponendo espressamente che “sulla querela di falso pronuncia sempre il collegio”, sia l’art. 221, 3° comma, prevedendo l’intervento obbligatorio del pubblico ministero (per gli eventuali riflessi penalistici e per l’eventuale indiretta disposizione di situazioni indisponibili) ex art. 70, 1° comma, n. 5), c.p.c., confermano il principio della collegialità.
Nondimeno, anche quando viene proposta incidentalmente, la querela di falso raffigura una azione a sé, posto che persegue un proprio risultato particolare, consistente nell’accertamento della verità o della falsità di un documento rilevante ai fini della decisione della causa principale. Accertamento da pronunziarsi con sentenza che, una volta passata in giudicato, fa stato a tutti gli effetti.
Anche in tale eventualità, la competenza a conoscere le cause concernenti la querela di falso è riservata per materia al Tribunale in composizione collegiale: per l’effetto, il giudice, davanti al quale la querela fosse incidentalmente proposta, dovrà rimettere la causa relativa alla sola querela di falso al Tribunale competente, ai sensi dell’art. 34 c.p.c., disponendo nel contempo la sospensione del processo principale (art. 295 c.p.c.), fino alla decisione della questione del falso.
La regola vale sia quando la causa principale pende davanti al Giudice di pace, ovvero al Tribunale monocratico, oppure davanti alla Corte d’Appello. In questo ultimo caso, la Corte d’Appello, davanti alla quale sia stata proposta querela di falso, è tenuta ex art. 355 c.p.c. a compiere l’indagine preliminare volta ad accertare l’esistenza o meno dei presupposti, che giustificano l’introduzione del giudizio di falso, ossia:
se la querela sia stata ritualmente proposta a norma dell’art. 221 c.p.c.;
e se il documento impugnato di falsità sia rilevante per la decisione della causa.
A seguito dell’esito positivo di detta indagine, la Corte deve sospendere il procedimento di appello, per consentire la riassunzione della causa di falso davanti al Tribunale, in guisa che il relativo giudizio possa svolgersi con la garanzia del doppio grado di giurisdizione2.
Vale il caso di ricordare che la querela di falso può essere proposta anche in Cassazione. Tuttavia, in tale circostanza, può essere rivolta solo contro atti e documenti relativi al procedimento, ossia quando riguardi la nullità della sentenza impugnata, l’ammissibilità del ricorso o del controricorso, l’autenticazione delle firme sugli stessi atti e le notificazioni di essi3 e non quando concerna documenti prodotti in fase di merito, posti a fondamento della sentenza impugnata dal giudice, potendo l’eventuale falsità di essi, se definitivamente accertata nella sede giudiziaria competente, essere fatta valere come motivo di revocazione4.
In via incidentale, la querela si propone o con citazione o mediante dichiarazione da unirsi a verbale di udienza, personalmente dalla parte o dal difensore munito di procura speciale. In tale circostanza, la procura deve contenere la specificazione del documento o dei documenti che la parte intende impugnare. Nondimeno, se la procura è conferita al difensore a margine o in calce all’atto di citazione per la proposizione della querela in via principale, tale specificazione non è necessaria, atteso che il collegamento con l’atto su cui è apposta elimina ogni incertezza sull’oggetto di essa5.
È legittimato a proporre querela di falso, chiunque abbia interesse a contrastare l’efficacia probatoria di un documento munito di fede privilegiata in relazione ad una pretesa che su di esso si fondi, non esclusa la stessa parte che l’abbia prodotto in giudizio6. Spetta poi, al giudice civile ordinario, cui, come ricordato, è devoluta in via esclusiva la cognizione della falsità di un documento (art. 9 e 221 c.p.c.), verificare la legittimazione e l’interesse ad agire di chi propone la querela di falso, ponendosi detti accertamenti quali necessari presupposti della pronuncia di merito7.
Oltre a ciò, sempre in tema di presupposti, la querela di falso non può essere proposta se non allo scopo di togliere ad un documento (atto pubblico o scrittura privata), la idoneità a far fede e servire come prova di determinati rapporti, sicché, ove siffatte finalità non debbano essere perseguite, in quanto non sia impugnato un documento nella sua efficacia probatoria, né debba conseguirsi l’eliminazione del documento medesimo o di una parte di esso, né si debba tutelare la fede pubblica, bensì si controverta soltanto su di un errore materiale incorso nel documento (configurabile nel caso di mera “svista” che non incide sul contenuto sostanziale del documento, rilevabile dal suo stesso contenuto e tale da non esigere una ulteriore indagine di fatto), la querela di falso non è ammissibile8.
A mente dell’art. 221 c.p.c., la querela deve contenere, a pena di nullità, “l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità e deve essere proposta personalmente dalla parte o a mezzo di procuratore speciale”. La sottoscrizione dell’atto ad opera della parte personalmente o a mezzo di procuratore speciale costituisce un requisito d’ammissibilità della querela di falso. Secondo la costante giurisprudenza “l’omissione della sottoscrizione personale della parte o del procuratore speciale non può essere sanata successivamente mediante la sottoscrizione personale dell’atto di riassunzione dinanzi al tribunale” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 8 marzo 2005, n. 5040).
Peraltro, la procura speciale idonea a consentire al procuratore la proposizione della querela di falso deve contenere la specificazione del documento o dei documenti che la parte intende impugnare. Tuttavia, la procura speciale, se conferita al difensore a margine o in calce all’atto di citazione per la proposizione della stessa querela in via principale, non necessita di specificazione del documento impugnato, perché il collegamento con l’atto su cui è apposta elimina ogni incertezza sull’oggetto di essa9.
Per quanto riguarda l’obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità, invece, questo può essere assolto con qualsiasi tipo di prova che sia idoneo all’accertamento del falso, anche per mezzo di presunzioni, e non implica necessariamente la completa e rituale formulazione della prova testimoniale, essendo sufficiente l’indicazione di tale prova e delle circostanze che ne dovrebbero costituire l’oggetto10. Tale norma, per la costante giurisprudenza di legittimità non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., atteso che non pone alcun termine perentorio pregiudizievole del diritto di difesa delle parti, limitandosi, invero, a prescrivere quali siano i requisiti necessari per il perfezionamento dell’atto processuale di impugnazione per falsità11.
A tale conclusione, si è giunti dopo un travagliato percorso interpretativo, oscillante tra posizioni particolarmente restrittive, secondo cui “l’indicazione degli elementi e delle prove a supporto della querela di falso deve avvenire secondo i modi stabiliti dalla legge processuale e, perciò, ove si tratti di prova testimoniale, mediante indicazione specifica, ai sensi dell’art. 244 c.p.c., delle persone da interrogare e da fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata, mentre l’esercizio del potere discrezionale del giudice di consentire che detta indicazione avvenga, per quanto riguarda le persone, successivamente non può essere invocato per supplire ad una lacunosa iniziativa della parte che non abbia formulato alcuna richiesta di autorizzazione a siffatto differimento dell’adempimento cui era tenuta” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 15 marzo 1991, n. 2790), e decisioni improntate a maggiore elasticità per le quali “l’obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità non impone necessariamente la completa e rituale formulazione della prova testimoniale, essendo sufficiente l’indicazione di tale prova e delle circostanze che ne dovrebbero costituire l’oggetto; peraltro, il suddetto obbligo può essere assolto con l’indicazione di qualsiasi tipo di prova idoneo all’accertamento del falso, e quindi anche a mezzo di presunzioni” (Cassazione civile, sez. lav., 3 febbraio 2001, n. 1537).
Sebbene il dato normativo non sembri lasciare grande spazio ad interpretazioni mitigatrici, in considerazione della precisa sanzione di nullità che la disposizione contempla, tuttavia, l’affermazione per la quale la norma non richiederebbe la completa formulazione delle prove, non va intesa come possibilità per il querelante di fornire indicazioni probatorie generiche, ma, semmai, nel giusto senso antiformalista. L’attuale giurisprudenza, pertanto, non si limita a valorizzare dati puramente formali, ma ha posto l’accento sulle modalità sostanziali di formulazione dell’atto, che consentivano nella specie di far emergere con chiarezza i fatti oggetto della prova testimoniale ed altrettante precise indicazioni sui soggetti chiamati a rendere la testimonianza12.
A seguito della querela di falso proposta in corso di causa, il giudice deve interpellare, ai sensi dell’art. 222 c.p.c., il presentatore del documento, chiedendogli se intenda valersene in giudizio, nel solo caso in cui questi sia colui che voglia giovarsi dell’atto, in quanto la suddetta norma si riferisce per l’interpello a chi esibisce il documento, avendo riguardo all’ipotesi normale, che il presentatore dell’atto si identifichi con la persona che di esso intenda giovarsi.
Il c.d. “interpello” della parte non trova applicazione nel procedimento davanti al giudice di pace, funzionalmente incompetente a conoscerne: in tale eventualità, si applica l’art. 313 c.p.c., in forza del quale, il giudice se riconosce la rilevanza del documento impugnato di falso e se il modo in cui l’impugnazione è proposta è conforme ai detti requisiti di ammissibilità, è tenuto a sospendere il giudizio ed a rimette le parti davanti al tribunale per il relativo procedimento13.
Se la risposta è negativa, il documento viene espunto dal procedimento e la querela non ha seguito. Sul punto, pare opportuno rilevare come “la mancata comparizione o la mancata risposta della parte che ha prodotto la scrittura all’interpello rivoltole dal giudice, ai sensi dell’art. 222 c.p.c., equivale a risposta negativa, atteso che, in aderenza alla lettera e allo spirito della norma citata, è richiesta alla parte che ha prodotto il documento impugnato di falso, per la gravità delle conseguenze che ne derivano, una esplicita conferma della volontà di servirsene (già manifestata con la produzione del documento stesso, ma non più sufficiente, di per sè sola, nella nuova situazione processuale determinata dalla proposizione della querela, a consentirne l’uso) e dunque un’esplicita risposta affermativa all'interpello, alla quale non è dato sopperire con un comportamento decisamente equivoco, qual è la renitenza o il silenzio” (Cassazione civile, sez. III, 5 novembre 2002, n. 15493).
Non solo. Alla risposta negativa, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, è anche equiparata l’ipotesi in cui la parte medesima, dopo la presentazione della querela, dichiari spontaneamente di rinunziare ad avvalersi del documento14, al pari di altri equivalenti contegni processuali, quali le ammissioni contenute negli scritti difensivi15.
In caso affermativo, invece, il giudice autorizza la presentazione della querela e dispone di conseguenza. Il documento in predicato viene depositato nelle mani del cancelliere e si forma processo verbale di deposito il cui contenuto è analiticamente descritto nell’art. 223 c.p.c.. Qualora, il documento si trovi presso terzi, il giudice può ordinarne il sequestro secondo le norme del codice di procedura penale. In questa circostanza, tuttavia, secondo la giurisprudenza, atteso che la legge non commina sanzioni di nullità per il mancato adempimento di tali incombenti, essendo questi posti in funzione della attività ordinatoria da esplicarsi per giungere alla soluzione della controversia, “sia il sequestro sia il processo verbale di deposito del documento relativamente al quale sia stata proposta querela di falso, sono rimessi alla discrezionalità del giudice che deve adottarli, ove ne ravvisi la necessità, in relazione alla peculiarità del caso concreto” (Cassazione civile, sez. II, 23 dicembre 2003, n. 19727).
La falsità del documento viene accertata sulla scorta dei mezzi di prova dedotti dalle parti e ammessi dal giudice, sulla scorta della loro rilevanza e idoneità, il quale ne disciplina anche i modi e i termini della loro assunzione.
All’esito della fase decisoria, possono configurarsi tre possibili situazioni: a) il giudice istruttore sospende l’intero giudizio e rimette le parti al Collegio per la decisione sulla querela; b) il giudice rimette la causa al Collegio tanto per la decisione sulla querela quanto per il merito; c) il giudice scinde il merito della causa, sospendendo parzialmente il processo e disponendo la prosecuzione limitatamente alle domande che reputi indipendenti dalla decisione sul falso.
Avverso tale sentenza l’impugnazione va proposta autonomamente davanti alla Corte d’Appello, posto che davanti alla Corte d’Appello competente, secondo il principio del doppio grado di giurisdizione, si impugnano le sentenze pronunziate dai Tribunali e nel codice di rito non si riscontra una norma derogatoria per la decisione sul falso. Addirittura “qualora la querela di falso sia proposta in via incidentale innanzi al tribunale in grado d’appello e venga emanata un’unica sentenza che decide sia sull’appello che sulla querela di falso, il capo relativo a quest’ultima deve essere impugnato innanzi alla corte d’appello competente in forza del principio del doppio grado di giurisdizione” (Cassazione civile, sez. II, 13 aprile 1999, n. 3625)16.
Riprendendo il filo tracciato dalle predette pronunce e allargandone la portata interpretativa, con la pronuncia in commento la Cassazione conclude la propria analisi dell’istituto statuendo chiaramente che “la sentenza che decide sulla querela è soggetta ai normali mezzi di impugnazione, e ciò quand’anche il procedimento di merito nel cui ambito l’atto è stato prodotto sia un procedimento speciale, ovvero abbia come epilogo una sentenza non soggetta ad appello”, in considerazione del fatto che “la sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale (cioè non definitiva) ma rappresenta l’epilogo di un procedimento che – pur se, come nella specie, attivato in via incidentale – è comunque autonomo che ha per oggetto l’accertamento della falsità o meno di un atto avente fede privilegiata”.
(Altalex, 24 ottobre 2007. Nota di Diego Chitò)
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1 Cfr. Taruffo, Lezioni sul processo civile, Comoglio-Ferri-Taruffo, Il Mulino, Bologna, 2° edizione, 1995, pag. 663
2 Cassazione civile, sez. III, 28 gennaio 1984, n. 688
3 Cassazione civile, sez. I, 11 dicembre 1980, n. 6389
4 Cassazione civile, sez. I, 2 novembre 2004, n. 21054
5 Cassazione civile, sez. II, 28 marzo 1997, n. 2773
6 Cassazione civile, sez. I, 17 aprile 1997, n. 3305
7 Cassazione civile, sez. un., 7 luglio 1988, n. 4479
8 Cassazione civile, sez. II, 2 luglio 2001, n. 8925
9 ibidem, Cassazione civile n. 2773/1997
10 Corte appello Milano, 14 dicembre 2004. Tuttavia, “l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità, che il comma 2 dell’art. 221 c.p.c. richiede a pena di nullità, non è necessaria allorquando la falsità sia rilevabile ictu oculi e quindi non occorrano indagini istruttorie, diverse dall'esame del documento e dalla considerazione di fatti la cui certezza sia fuori discussione” (cfr. Cassazione civile, sez. II, 11 agosto 1990, n. 8230).
11 Cassazione civile, Sez. II, 5 novembre 1975, n. 3708
12 Maria Cristina Vanz, Querela di falso e prova della falsità: un’esatta distinzione tra rigore e formalismo – Nota a Cassazione civile , 03 Febbraio 2001, n. 1537, sez. Lavoro, in Giur. it. 2001, 11, 2030.
13 Cfr. Taruffo, ibidem, pag. 663
14 Cassazione civile, sez. I, 28 novembre 1997, n. 12054
15 Cassazione civile, sez. III, 20 maggio 1986, n. 4616
16 Nel giudizio di appello sulla querela di falso, la notificazione dell’impugnazione all'ufficio del p.m. presso il giudice "a quo" non è necessaria, non avendo il p.m. qualità di parte nel giudizio di falso e non potendo, dunque, impugnare la sentenza di primo grado, nè tale notificazione può sostituire l'avviso all'ufficio del p.m. presso il giudice del gravame (procura generale presso la corte di appello), invece necessario - a pena di nullità del procedimento di appello - in considerazione dell'obbligatorietà dell'intervento dello stesso ai sensi dell'art. 221 c.p.c. (cfr. Cassazione civile, sez. III, 5 novembre 2002, n. 15504).