A mio parere il sig. wolf distorce il contenuto della Legge e interpreta in un modo che non è consentito neppure ad un magistrato.
Al riguardo vi invito a ragionare sul testo che segue:
L’attività d’interpretazione della legge da parte [perfino n.d.r.] del magistrato, infatti, non è completamente libera, ma è sottoposta a dei rigidi limiti ed uno di questi è proprio il divieto di condurre qualsiasi tipo di operazione ermeneutica quando la norma è talmente limpida ed univoca da non consentire alcun margine per l’attività esegetica.
Appare chiaro allora che, quando un magistrato, abusando del proprio potere di interpretazione, fa dire alla legge l’esatto opposto di ciò che essa dice in modo chiaro ed univoco o, parimenti, ne pone in dubbio il chiaro dato letterale, come è accaduto nella specie, egli dà luogo non solo ad una grave violazione della norma di legge trasfigurata dall’abuso interpretativo, ma anche, nei fatti, ad una vera e propria “modifica” della norma stessa, il che non può non trasmodare in esercizio abusivo della potestà legislativa, in violazione dell’art. 2, primo comma, lettera ff), dec. legisl. n. 109/2006, essendo il Parlamento l’unico organo che può innovare l’ordinamento giuridico.
Del resto, a pensarla diversamente, si finirebbe per concedere un pericoloso strumento nelle mani dei magistrati, i quali non avrebbero più limiti nell’attività d’interpretazione della legge, attività che fungerebbe da vero e proprio scudo di impunità disciplinare, il che è intollerabile in uno Stato di diritto.
Perfettamente in linea alle suesposte considerazioni si colloca la recentissima sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite n. 15879 del 20/07/2011, secondo la quale: “L’incensurabilità disciplinare garantita al magistrato dall’art. 2, comma 2, dec. legisl n. 109/2006 nell’attività di interpretazione di norme di diritto, non può essere riferita a qualsiasi procedimento applicativo delle disposizioni contenute nella legge processuale o sostanziale, ma esige che al riguardo sia stata compiuta una, sia pur non complessa, operazione ermeneutica, nelle ipotesi in cui il dettato normativo difetti di quella obiettiva ed immediata evidenza (comunemente espressa dal brocardo in claris non fit interpretatio) che non consenta ragionevoli dubbi in ordine al suo effettivo tenore.
Diversamente opinando, ove si ritenesse incensurabile qualsiasi ipotesi di lettura, anche palesemente contraria alla lettera della norma ed all’intenzione del legislatore, emergenti con immediatezza dalla disposizione, si finirebbe con l’ammettere un’assoluta illimitata impunità disciplinare per ogni caso di malgoverno di norme di diritto, con conseguente svuotamento di pratico significato delle fattispecie di illecito delineate dall’art. 2, primo comma, lett. g) ed ff).>>.