Dispositivo dell'art. 1102 Codice Civile
Fonti →
Codice Civile →
LIBRO TERZO - Della proprietà →
Titolo VII - Della comunione (artt. 1100-1139) →
Capo I - Della comunione in generale
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto
(1). A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa
(2).
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il
titolo del suo
possesso (3).
Note
(1) I due limiti fondamentali all'uso della cosa comune sono, quindi, il divieto di alterare la destinazione della cosa e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti d'uso. L'uso da rispettare è quello attuale. Per esempio, è stata considerata alterazione della originaria destinazione del bene la permanente utilizzazione di un giardino comune come parcheggio.
La nozione di pari uso non va intesa in senso di uso "identico", tanto che è normalmente ammesso che un condomino faccia un uso più intenso della cosa rispetto agli altri: l'importante è che ciascuno abbia il diritto ad usare potenzialmente della cosa al pari degli altri.
(2) Il partecipante alla comunione ha il diritto di modificare la cosa comune sostenendo i relativi costi al fine di realizzare un godimento migliore della cosa stessa. In tale ultima ipotesi gli altri comunisti, se non domandino la rimozione del miglioramento effettuato a loro favore da un singolo comunista, hanno diritto di acquisirla; ciò, ovviamente, sempre che essa sia fruibile e si connoti alla stregua di un'innovazione (
art. 1108 del c.c.) della cosa comune. Al comunista autore dell'innovazione compete, dunque, il rimborso delle spese sostenute per migliorare il bene comune.
(3) Il secondo comma dell'articolo si riferisce all'estensione del diritto sulla cosa comune inteso come usucapione del diritto di comunione per una quota maggiore o usucapione di tutta la cosa da parte del singolo comunista. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel richiedere un mutamento del titolo, che provi in maniera inequivocabile il nuovo
animus possidendi.
Non è previsto il "non va bene all'altro", bensì solo che anche l'altro abbia la medesima facoltà.