http://www.condominio.it/2009/10/28/la-prescrizione-del-diritto-alla-provvigione-del-mediatore.html
Il codice civile all’art. 2950 stabilisce che si prescrive in un anno il diritto del mediatore al pagamento della provvigione. Attesa la brevità del termine di prescrizione attribuita dal Legislatore al diritto del mediatore occorre stabilire con certezza da quando decorre tale termine, poiché il citato articolo di legge non ne fa menzione alcuna.
La prescrizione annuale del diritto del mediatore al pagamento della provvigione, secondo un preciso e consolidato principio dottrinale e giurisprudenziale, comincia a decorrere, a norma dell’art. 2935 del codice civile, dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ovvero dalla data in cui le parti, che il mediatore con il suo intervento ha messo in relazione, hanno concluso l’affare. E’ da questo momento che sorge in capo al mediatore il diritto alla provvigione e, quindi, è da tale momento che il diritto può essere fatto valere.
Occorre, quindi, stabilire il significato da attribuire all’espressione conclusione dell’affare poiché da tale momento decorre la prescrizione breve del mediatore. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che per affare compiuto deve intendersi un atto da cui è scaturito un vincolo giuridico tra le parti messe in relazione per effetto dell’attività intermediatrice, che consenta loro di agire per l’esecuzione di esso. Dunque l’affare può ritenersi concluso allorché il negozio sia stipulato in modo giuridicamente idoneo a conseguire il risultato utile perseguito dalle parti, perché solo in tale momento si realizza la funzione della mediazione, e perciò è soltanto da tale momento che il mediatore può far valere il diritto alla provvigione.
Il Tribunale Ordinario di Monza, in una recente pronuncia, (Sezione IV Civile, 3/09/2007) ha stabilito che “Ai sensi dell’art. 1755 c.c. il diritto alla provvigione sorge in capo al mediatore solo a seguito della conclusione dell’affare e qualora questo si sia concluso per effetto dell’intervento del mediatore stesso; in particolare, la conclusione dell’affare deve coincidere con il compimento di un’operazione di contenuto economico che si concreti in un’utilità di carattere patrimoniale e, cioè, in un atto in virtù del quale si costituisca un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in mancanza, per il risarcimento del danno; ne consegue che, è sufficiente a tali fini la conclusione di un preliminare, ovvero di un patto d’opzione, in quanto inentrambi i casi si realizza l’incontro della volontà delle parti idoneo alla costituzione del vincolo contrattuale”. Dello stesso tenore una pronuncia del Tribunale Ordinario di Genova (Sezione III Civile, 24/04/2007): “Per affare compiuto deve intendersi un atto da cui è scaturito un vincolo giuridico tra le parti messe in relazione per effetto dell’attività intermediatrice, che consenta loro di agire per l’esecuzione di esso, ritenendo sufficiente la conclusione di un contratto preliminare a fondare il diritto del mediatore alla provvigione”.
Ma quando è che tra le parti si costituisce un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno?
Al momento della stipulazione del contratto preliminare ovvero quando avviene la accettazione della proposta contrattuale?
A tal proposito è illuminante una recente decisione della Suprema Corte (Sezione III Civile 21.7.2004 n. 13590) che ha cassato una sentenza della Corte d’Appello di Firenze in riforma della decisione del Tribunale di Firenze che aveva accolto la domanda avanzata da un’agenzia immobiliare che assumeva esserle dovuta la provvigione per l’opera di intermediazione svolta in relazione all’affare consistito nella stipula di una proposta irrevocabile, redatta su di un modulo, per l’acquisto di un immobile. I giudici dell’appello avevano riformato la decisione motivando che l’agenzia non aveva diritto alla provvigione atteso che la trattativa tra le parti si era interrotta prima della stipula del preliminare, che costituiva il minimum perché potesse parlarsi di conclusione di un affare e che non si poteva qualificare come conclusione di un affare la redazione della minuta della proposta di acquisto. Di diverso avviso la Corte di Cassazione che, come dianzi accennato, ha cassato la sentenza assumendo che: “…rileva la Corte che la pronunzia del giudice di merito si fonda su un errato presupposto in diritto, costituito da un’erronea interpretazione del concetto di “affare” di cui agli art. 1754 e 1755 c.c.. Al riguardo può dirsi ius receptum, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questo S.C. che la nozione di “affare” di cui alle menzionate norme codicistiche, va intesa come una operazione di natura economica che si risolva in un’utilità patrimoniale, suscettibile, peraltro, di conseguenze giuridiche.
Essa, pertanto, stante la sua maggiore
estensione rispetto al concetto di contratto, è riferibile non solo ai contratti propriamente detti, ma anche a qualsiasi operazione che sia tale da far sorgere obbligazioni. In sostanza, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso ogni volta che, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio ovvero, anche, per il risarcimento del danno. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare erronea l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la stipula di un contratto preliminare, da escludersi nella specie, costituisce il minimum per far sorgere il diritto alla mediazione a favore del mediatore, posto che anche la conclusione di un opzione può, in astratto, far sorgere tale diritto. E’ noto, infatti, come l’opzione, a differenza della proposta irrevocabile, abbia natura di negozio giuridico bilaterale. Mentre, invero, nella proposta irrevocabile vi è una parte che avanza una proposta contrattuale ed unilateralmente si impegna a mantenerla ferma per un certo tempo, nell’opzione, invece, vi sono due parti che convengono che una di essa resti vincolata dalla propria dichiarazione mentre l’altra resta libera di accettarla o meno.
In entrambi i casi, perciò, vi è una proposta contrattuale irrevocabile, ma mentre nella prima ipotesi (art. 1329 c.c.) l’irrevocabilità dipende esclusivamente dalla volontà unilaterale del proponente, nella seconda (art. 1331 c.c.) l’irrevocabilità dipende da una convenzione tra le parti, le cui volontà si sono già espresse” .
Va, ancora, osservato, per completezza di esposizione che “… l’ignoranza circa l’avvenuta conclusione determina una mera impossibilità materiale di esercizio del credito e, pertanto, può assumere rilievo non ai sensi dell’articolo 2935 del c.c. ma come causa di sospensione della prescrizione ai sensi dell’articolo 2948, n. 1, del c.c. ove la detta ignoranza sia attribuibile a dolo o frode dei soggetti dell’affare intermediato, coincidendo in tal caso la cessazione dell’effetto sospensivo della prescrizione con la data in cui il mediatore ha acquistato consapevolezza della conclusione dell’affare“
(Trib. Bologna, 18/01/2005).
Fonte: Newspages
Avv.Roberto Bella
Presidente IRCAT