Il caso giuridico in questione, al di là della sentenza, mostra, infatti, degli aspetti interessanti: il mediatore de quo doveva essere un tipo furbo oltre che giudizioso. E pure convincente se è riuscito ad inserire una simile clausola di “salvaguardia” del proprio lavoro.
In altre parole, avrà detto al venditore: io mi assumo l’incarico di venderti l’immobile ( evidentemente era un immobile di difficile commercializzazione…) e quindi mi impegnerò e farò tutto il possibile per riuscire a concludere positivamente l’affare ma, se nel caso, mi rendessi conto che tu stesso remi contro, mi intralci e mi impedisci, con azioni ostruzionistiche, oppure tacendo notizie importanti sulla casa, di concludere l’affare con terzi, allora mi riservo, con clausola apposita, di chiedere ugualmente l’intera provvigione come risarcimento danni sui generis o come penale.
Insomma, se non era per il tuo inqualificabile comportamento, caro venditore, io la casa l’avrei sicuramente venduta e, quindi, se l’affare non è andato in porto è per tua esclusiva colpa. Perché ne devo andare di mezzo anch’io? Io la mia parte l'ho fatta. Quindi scuci l’intera provvigione che avevamo pattuito e amici come prima.
La Corte di Cassazione non ha ritenuto giuridicamente fondato tale ragionamento considerando vessatoria la clausola, perché andava a sbilanciare i reciproci obblighi contrattuali, però ha riconosciuto al mediatore il diritto a pretendere, comunque, una somma di minore importo. Mica fesso il mediatore.
Come dire, in un contratto tutte le parti sono obbligati, pena risarcimento, ad una reciproca diligenza e buona fede.