In materia di mediazione, ai fini della configurabilità del diritto del mediatore alla provvigione indipendentemente dalla conclusione dell'affare è
insufficiente il mero ricevimento dell'incarico ma è necessario che sussista un patto ulteriore che valga a collegare tale diritto ad un fatto diverso, quale l'avere il mediatore svolto per un certo tempo una concreta attività di ricerca di un terzo interessato all'affare ed essere pervenuto al risultato entro un certo termine, o anche il non esservi pervenuto, nel caso che la parte ritiri l'incarico al mediatore prima della scadenza del termine; ipotesi, queste, in cui la provvigione costituisce il compenso per avere il mediatore assunto ed adempiuto l'obbligo di impegnare la propria organizzazione nella ricerca del terzo interessato all'affare.
Tale compenso equivalente sostanzialmente al
danno emergente non può essere equiparato alla positiva conclusione dell’affare.
Deve in proposito rilevarsi come la parte non ha l'obbligo di concludere il contratto, neppure alle condizioni previste nell'incarico conferito al mediatore.
Se, dunque, il conferente l'incarico receda (
anche se ingiustificatamente) dall’incarico la previsione dell'obbligo di corrispondere comunque un compenso all'intermediario può avere causa nella remunerazione dell'attività da quello posta in essere nella ricerca di un interessato.
Ma se il compenso sia previsto in misura
identica (o
vicina) a quella stabilita per l'ipotesi di conclusione dell'affare si verifica uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi delle parti (
art. 1469 bis c.c., comma 1; ora art. 33, comma 1, del codice del consumo), giacché solo con la conclusione dell'affare il preponente realizza il suo interesse e poiché il rifiuto da parte sua di concluderlo non integra comunque un inadempimento.
L'art. 1469
ter c.c., comma 3, (ora, art. 34, comma 3, del citato codice del consumo) esclude che la valutazione della vessatorietà possa concernere l'oggetto del contratto e l'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tuttavia "
tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile": nel patto intercorso tra preponente e mediatore deve dunque essere chiarito che, in caso di mancata conclusione dell'affare per recesso anticipato del preponente, il compenso al mediatore sarà dovuto per l'attività sino a quel momento esplicata.
Ciò non è avvenuto in quanto il corrispettivo per l'ipotesi di recesso è stato commisurato ad una misura prossima all’intera provvigione.
In conclusione lo squilibrio delle prestazioni è collegato al fatto che il diritto al compenso per il caso di recesso anticipato sia fissato in misura indipendente dal tempo per il quale l'attività del mediatore s'è protratta prima del rifiuto del preponente.
Né vi è prova che la clausola in questione sia stata, ai sensi dell'art. 34 dello stesso d.lgs., oggetto di specifica trattativa (quale presupposto che rileva, per l'appunto, ai fini della applicazione o meno della disciplina di tutela in questione e non già dell'accertamento della vessatorietà o abusività della clausola), caratterizzata dagli indefettibili requisiti della individualità, serietà ed effettività.
Tale prova non può desumersi dalla mera compilazione a mano degli spazi bianchi lasciati nel formulario predisposto dalla convenuta.
Deve pertanto dichiararsi la nullità della clausola 7.1 del contratto stipulato tra le parti
ex art. 36, comma 1, del codice del consumo.