La mancanza di una espressa norma che estenda la disciplina dettata per le locazioni ai programmi sublocativi (per rispondere a dormiente, la legge 431/1998 tace al riguardo), ha fatto scaturire in passato un vivace dibattito dottrinale tra chi è favorevole a tale estensione e chi, invece, rigetta tale tesi. La legge, come peraltro lo stesso codice civile, non disciplina affatto i contratti di locazione da quelli di sublocazione, in quanto la disciplina (durata minima compresa) è unitaria e si estende sia alle locazioni che alle sublocazioni (per inciso, il reddito netto annuo da sublocazione dell’appartamento (se di sublocazione totale parliamo) ammonterebbe a € 3.000,00, ossia la differenza tra i canoni percepiti al 100%, senza deduzione forfettaria del 5% (applicabile solo ai contratti di locazione) e le spese inerenti la sua produzione, che, in parole povere, vuol dire: SUBAFFITTO PERCEPITO – AFFITTO PAGATO).
Nonostante la titubanza normativa, attualmente la dottrina dominante – come sopra precisato – applica a tale forma contrattuale la stessa normativa in materia di locazioni, ossia quella codicistica e quella delle leggi di riforma del 1978 e 1998, poiché la sublocazione non è altro che una locazione, anche se presenta alcune determinate caratteristiche, che, però, sono state regolamentate dal Legislatore, senza, peraltro, fornire un corpus normativo autonomo. Pertanto, chi intenda seguire tale indirizzo, dovrà adattare il proprio contratto di sublocazione al contratto locatizio principale, che, nel caso prospettato, non può che tradursi – come osservato da dormiente - nella stipula di contratto di sublocazione 3+2 o di natura transitoria.