Non sono d'accordo. Ovviamente con la parola "sapientone" non mi riferivo a te, ma questo so che l'hai capito.L’ho scritto anche io e lo ribadisco, in caso di sospensiva .
La disciplina del “termine essenziale “ secondo me non rileva, perché l’avveramento di una condizione non è un’obbligazione di una parte, una prestazione.
Passato il termine senza avveramento, il contratto resta inefficace. Punto: se si vuole, si proroga il termine , altrimenti si rischia che l’altra parte si muova di conseguenza .
Quindi sicuramente il venditore ne ha approfittato, ma poteva fare quello che ha fatto.
L’agenzia ha dimostrato poca correttezza, sicuramente, ma da qui a chiedere danni morali o risarcimento per i giorni di permesso al lavoro ce ne passa
Mi sono espresso con termini giuridici "sistematici", applicando il concetto di termine essenziale anche al termine (cioè al giorno) che viene attribuito alla condizione.
In caso di sospensiva, come dici tu, il contratto non diventa efficace fintantoché non si verifica l'evento dedotto nella clausola: ad es., viene approvato il mutuo. Sicché, se le parti pongono un giorno esatto, se questo giorno è passato senza che si sia verificata la delibera di approvazione del mutuo, il contratto non poteva ancora diventare efficace. Diventa, quindi, ed è questo il concetto che voglio esprimere, una questione di buona fede.
In sostanza, io ritengo che si possa interpretare la dicitura entro e non oltre come una normale data, passata la quale non scompare l'obbligo sancito dall'art. 1358 c.c. di comportarsi in buona fede durante la pendenza della condizione sospensiva.
A sostegno, cito una di tante sentenze.
Corte d'Appello Cagliari, Sentenza, 03/05/2023, n. 172, secondo cui "In tema di contratti, nella fase di pendenza della condizione, le parti sono titolari di un'aspettativa giuridicamente tutelata, a presidio della quale si pongono gli artt. 1358 e 1359 c.c. Difatti, l'art. 1358 c.c. impone ai contraenti, durante il periodo di pendenza della condizione, di comportarsi secondo buona fede, attuando un contegno che non danneggi l'altra parte e ne preservi le ragioni. L'obbligo previsto dall'art. 1358 c.c. è una specificazione di quello generalmente gravante sui contraenti ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., il quale, in una lettura costituzionalmente orientata, non solo impone a ciascun contraente di comportarsi secondo lealtà, ma, altresì, obbliga alla salvaguardia, entro i limiti di un tollerabile sacrificio, dell'utilità dell'altro contraente.
In sostanza, nel caso di specie mi sembra chiaro che le parti hanno usato la clausola condizionale, apponendo un termine di adempimento della condizione mista (che dipende anche dal comportamento attivo dell'acquirente e non solo dal caso) talmente stretto che non era possibile la verificazione dell'evento. In altre parole, non è secondo buona fede e soprattutto non è giustificabile l'atteggiamento di chi il 21esimo giorno vende senza dire niente a terzi.
Questo perchè controfirmando la proposta, anche il venditore si è obbligato "entro i limiti di un tollerabile sacrificio" a salvaguardare l'interesse dell'acquirente.
Si può naturalmente argomentare, al contrario, che il mutuo sarebbe stato concesso troppo tempo dopo, ma tuttavia c'è anche da dire che se la tempistica corrisponde con quella abituale della prassi, è il venditore ad essere fuori posto, secondo me.
Per quanto riguarda il tuo argomento, lo capisco, capisco che cosa vuoi dire. Tu sostieni che il termine entro cui verificare l'avverarsi dell'evento non può essere un termine di adempimento dell'obbligazione e quindi non si applica la questione della tollerabilità del ritardo tipica dei termini di adempimento classici di una obbligazione.
Tuttavia, la cosa che esce dalla porta, rientra dalla finestra.
Il problema continua ad essere che anche se non si applicano questi principi, l'art. 1358 c.c. continua a richiedere la buona fede anche al venditore, e non può considerarsi in buona fede un venditore che durante la pendenza della condizione sta facendo trattative segrete con un altro. Questo è il mio punto di vista, ovviamente.
Tra l'altro, il senso di questo intervento è questo.
Da tempo la giurisprudenza di legittimità (v. in particolare, con specifico riferimento alla condizione c.d. mista, Cass., n. 6676/1992; Cass., S.U., n. 18450/2005, Cass. n. 3207/2014; Cass. n. 24977/2018) ha ricostruito la struttura dell'illecito contrattuale per mancata osservanza del comportamento leale in pendenza della condizione, in maniera autonoma da specifiche previsioni contrattuali.
Detto in altri termini, da tempo si ritiene che se uno si comporta male durante la pendenza della condizione, realizza un vero e proprio inadempimento che potrebbe comportare la risoluzione del contratto e ovviamente il risarcimento dei danni.
Se questo è vero, il giudice sarebbe chiamato a fare un paragone pratico: meglio lui che si è attivato per il mutuo, ma non ce l'ha fatta in tempo o meglio l'altro che di nascosto trattava già è durante i 20 gg. ha trovato un altro acquirente, dolosamente preordinando il tutto già al momento di dare l'incarico al venditore?
La risposta mi pare evidente.