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Fonte: plentedamaggiulli.it
Cassazione civile, Sezione 3, Sentneza n. 4331 del 23.2.2009
La recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 4331 del 23 febbraio 2009 affronta la questione della responsabilità del mediatore immobiliare per la mancata comunicazione alle parti di circostanze, a lui note, relative alla sicurezza dell'affare e, come tali, idonee ad influire sulla conclusione dello stesso.
Nel caso di specie, oggetto dell'affare era la compravendita di una casa di abitazione con annesso terreno. Concluso il contratto preliminare per effetto dell'intervento del mediatore, le parti gli corrispondevano la provvigione, ma, all'atto della stipula del definitivo, il notaio rifiutava di rogare l'atto perché dal titolo di provenienza, ossia dall'atto di acquisto mediante il quale il promissario venditore era divenuto, a suo tempo, proprietario dell'immobile da compravendere, risultava la proprietà del terreno, ma non del fabbricato che insisteva su di esso.
L'istituto dell'accessione (art. 934 c.c.) consentirebbe comunque di considerare il fabbricato appartenente al proprietario del fondo, ma la concomitante potenziale operatività di altri istituti giuridici, avevano indotto il notaio a sconsigliare la stipula del definitivo.
Il mediatore, prima della conclusione dell'affare, era in possesso dell'atto d'acquisto, dal quale risultava solo il terreno e non anche il fabbricato.
Secondo la Corte di Cassazione:
- il mediatore è tenuto a comunicare alle parti, ai sensi dell'art. 1759 c.c., ogni circostanza a lui nota relativa alla valutazione sulla sicurezza dell'affare, potenzialmente idonea ad influire sulla sua conclusione;
- la circostanza che nel titolo d'acquisto risultasse che il venditore non fosse proprietario di uno dei beni oggetto dell'affare rileva ai fini della relativa sicurezza;
- la disamina delle conseguenze giuridiche legate al contenuto di tale titolo d'acquisto non competono al mediatore, ma ciò non lo esonera dall'obbligo di comunicare alle parti una simile circostanza, a lui nota, intesa come mero fatto e a prescindere dalle specifiche implicazioni giuridiche;
- l'inadempimento di tale dovere informativo comporta la perdita del diritto alla provvigione.
TESTO DELLA SENTENZA
(omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell'impugnata sentenza lo svolgimento del processo è esposto come segue.
Con atto di citazione notificato il 20.4.2000, D. e D. S. evocavano in giudizio D.P.G.C. dinanzi al Tribunale di Verbania per ivi sentir accertare l'insussistenza del loro obbligo di pagarle il corrispettivo di provvigione mediatoria e sentirla in conseguenza condannare alla restituzione in loro favore della somma di lire 11.196.000, a tal titolo versatale, oltre interessi e rivalutazione. Le attrici esponevano:
- di aver stipulato con la mediazione della D.P. un contratto preliminare di vendita immobiliare con le signore A. e R.L., relativo all'acquisto di una casa di abitazione, con annesso terreno, in (…);
- che il rogito non era stato tuttavia stipulato dal momento che il Notaio rogante aveva fatto rilevare che l'atto di acquisto dell'immobile delle promittenti venditrici non contemplava il fabbricato ivi insistente ma solamente il terreno;
- che in conseguenza avevano deciso di soprassedere alla stipulazione e avevano risolto consensualmente il preliminare;
- che la signora D.P. aveva violato i propri obblighi di corretta e completa informazione che le incombevano in qualità di mediatrice, sia con riferimento all'omessa indicazione delle carenze dell'atto di provenienza in possesso delle parti venditrici, sia a proposito delle irregolarità urbanistiche emerse a carico del fabbricato.
La convenuta si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda attorea. In sede di precisazione delle conclusioni le attrici chiedevano in subordine la risoluzione del contratto di mediazione o la condanna delle convenuta alla restituzione delle somme ai sensi dell'articolo 2143 (sic) c.c., mentre la convenuta rifiutava di accettare sul punto il contraddittorio.
Con sentenza del 26.11.2001 - 12.2.2002 il Tribunale di Verbania respingeva la domanda attorea e condannava le attrici alla rifusione delle spese processuali. La sentenza veniva notificata alle attrici in data 3.4.2002.
Con atto di citazione notificato il 24.4.2002 proponevano appello D. e D.S., chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, dichiararsi non dovuta, per i motivi esposti, la mediazione all'appellata e conseguentemente condannarsi la medesima alla pronta restituzione della somma di lire 11.196.000, pari ad euro 5.782,25, con interessi compensativi e rivalutazione monetaria.
Le appellanti censuravano la decisione del giudice di primo grado, osservando:
- che, per quanto atteneva l'omessa comunicazione della irregolarità urbanistica relativa all'immobile, oggetto di procedimento di condono, il Giudice di primo grado non aveva considerato che la D.P. aveva taciuto informazioni circa le numerose irregolarità edilizie, in ciò mancando dolosamente ai propri doveri e che la situazione era stata sanata per l'impegno e la diligenza delle parti promissarie, senza partecipazione utile da parte del mediatore,
- che inoltre le R. e il mediatore avevano in mala fede taciuto alle acquirenti il fatto che il fabbricato non era stato oggetto di regolare trasferimento in capo alle promittenti venditrici, sicché queste, a loro volta, non lo potevano trasferire regolarmente alle D., salvo far leva sulla mera presunzione di cui all'articolo 934 c.c., circostanza questa che aveva indotto il Notaio rogante a consigliare di soprassedere alla stipulazione dell'atto.
Si costituiva in giudizio l'appellata, chiedendo il rigetto dell'appello proposto dalle D. e per l'effetto l'integrale conferma della sentenza di primo grado, previa, nel solo caso di ammissione delle istanze istruttorie di parte appellante, assunzione delle testimonianze in prova contraria indicate nelle conclusioni "in via subordinata istruttoria" precisate in prime cure;
Le appellanti rinunciavano alle loro istanze istruttorie.
All'udienza del 10.12.2002, sulle conclusioni definitive sopra trascritte, la causa era assegnata a decisione, con la concessione dei termini di rito per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Con sentenza 4.3 - 14.7.03 n. 887/03 la Corte di Appello di Torino provvedeva come segue. "...definitivamente pronunciando; respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione;
in accoglimento dell'appello interposto da D.D. e D.S. e in totale riforma della sentenza n. 83, emessa il 26.11.2001/12.2.2002 dal Tribunale di Verbania;
dichiara tenuta e condanna D.P.G.C. a pagare a D.D. e D.S., creditrici in solido la somma di euro 5.782,25 con interessi legali da 20.4.2000 al saldo, a titolo di restituzione della provvigione indebitamente incassata;
dichiara tenuta e condanna D.P.G.C. a pagare a D.D. e D.S. , creditrici in solido, a titolo di rifusione spese processuali:
- la somma di euro 2.907,65 oltre IVA e CPA come per legge sulle quote imponibili, quanto al giudizio di primo grado;
- la somma di euro 2.605,00, oltre IVA e CPA come per legge sulle quote imponibili, quanto al giudizio di secondo grado.".
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione D.P.G.C. , titolare dell'omonima agenzia immobiliare.
Hanno resistito con controricorso D.D. e D.S. .
D.P.G.C. ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi.
La ricorrente D.P.G.C. , con il primo motivo, denuncia:
"Violazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli articoli 1759 e segg., alla Legge n. 39 del 1989, con riferimento all'articolo 934 c.c., articoli 935, 936, 937 e 922 c.c., ed infine all'articolo 1176 c.c." esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. La Corte territoriale contesta alla ricorrente di non avere segnalato che l'atto di provenienza a favore delle promittenti includeva il solo terreno, e non anche l'edificio sovrastante e che pertanto, poiché i promissari potevano contare solo sulla "presunzione" di cui all'articolo 934 c.c., l'acquisto sarebbe stato a rischio, presunzione, aggiunge la Corte, che potrebbe essere superata da titoli contrari, ex articolo 934 c.c. e segg.. La disamina in questione, di tipo squisitamente tecnico - giuridico, non poteva essere posta a carico del mediatore, ma solamente di un operatore del diritto particolarmente qualificato quale il Notaio. È incongruente imporre al mediatore un'analisi del titolo di provenienza per verificare se il venditore sia in grado o meno di disporre almeno apparentemente del bene, analisi secondo la Corte da effettuare con approssimazione e perché poi ci penserà il Notaio ad eseguire gli esatti controlli.
La motivazione non analizza i seguenti punti:
A) l'atto di provenienza aveva contenuti complessi e quindi, quand'anche fosse vero che il mediatore l'avesse messo a disposizione, tale argomento non superava per quanto esposto in precedenza, i termini del problema;
B) quand'anche infatti non l'avesse messo a disposizione, la complessità dell'atto superava i termini del problema in punto responsabilità, posto che comunque, in capo al mediatore non era ravvisabile alcun elemento di colpa o dolo, perché, sempre stando alla giurisprudenza citata dalla Corte in sentenza (in particolare la n. 4791/1999), egli non aveva l'obbligo di compiere queste verifiche e neppure, quand'anche fossero state fatte, di analizzarle in modo concludente e dirimente sotto il profilo giuridico.
C) Infine, emergeva dagli stessi atti di controparte (v. le deduzioni istruttorie in memoria 8/1/2001 in 1 grado), dai capp. 9-10-11-12-13-14-15-16-17, che il mediatore non ritardò la consegna, né la rifiutò, ma consigliò di rivolgersi all'arch. B. , soggetto che evidentemente rappresentava la proprietà, ma la cosa più importante è quella che emerge dai capp. 12, 13, 14, 15, 16 e cioè che, se fu rilasciata una concessione in sanatoria, il Comune ben aveva valutato la titolarità in capo al bene immobile.
Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "Violazione dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento agli articoli 1753 e 1759 c.c., e articoli 922, 934, 935, 936, 937, 938 c.c." esponendo censure da sintetizzare nel modo seguente.
Testualmente, a pag. 17 la sentenza recita:
" ...Una cosa è infatti comperare un fabbricato da un soggetto che lo ha acquistato in forza di titolo idoneo (e che, fra l'alto, l'ha posseduto da oltre un decennio ai fini di cui all'articolo 1159 c.c.) e che può congiungere comunque ex articolo 1146 c.c., il proprio possesso a quello del dante causa; altra e molto differente cosa è acquistare un fabbricato da parte di chi è in grado di provare documentalmente di aver acquistato solo il terreno su cui insiste (fra l'altro in epoca in cui l'edificio era stato già costruito) potendo contare solamente sulla presunzione di cui all'articolo 934 c.c., suscettibile di essere superata da titoli contrari ex articolo 935 c.c. e segg.. e l'usucapione. È chiaro che l'acquisto perde e parecchio in sicurezza e che tale circostanza ben doveva essere comunicata e segnalata con attenzione all'acquirente".
- In primo luogo è errato definire l'acquisto dell'immobile a mezzo di accessione, solamente presuntivo, ex articolo 934 c.c., dimenticando invece che il codice civile, al precedente articolo 922 c.c., inserisce l'accessione proprio tra i modi d'acquisto della proprietà.
- In secondo luogo, erra la decisione nell'affermare che l'acquisto ex articolo 934 c.c., sia solamente una presunzione e che comunque tale è per quanto è disposto dai successivi articoli 935, 936, 937, 938 c.c..
- In terzo luogo dimentica la Corte che, a mente dell'articolo 934 c.c., le deroghe alla sua disciplina debbono provenire da un titolo negoziale e di ciò in causa non vi e' traccia alcuna.
Il tempo passato dal 1974 poneva le acquirenti al riparo da qualsiasi azione e la proprietà quindi non era in dubbio; inoltre la proprietà era certa anche per la maturazione del termine ventennale dell'usucapione. Inoltre nell'affrontare la tematica di cui all'articolo 936 c.c., la Corte si e' mai posta la domanda se l'immobile fosse o meno stato costruito da un terzo? Apoditticamente si sono invocati gli articoli successivi al 934 c.c., e se ne è per giunta data una interpretazione errata. Il tempo, l'assenza di prova dell'esistenza del terzo la indiscutibilità dell'acquisto per accessione mai avrebbero dovuto condurre a ritenere l'acquisto "insicuro" e quindi, se le parti risolsero il preliminare fu certamente problema solo loro. Riprova ne è che fu anche rettificato l'atto d'acquisto delle R., così facendo collimare la proprietà del terreno con quella dell'immobile.
La ricorrente, con il terzo motivo, denuncia "Violazione dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, con riferimento all'articolo 2697 c.c." esponendo doglianze da riassumere come segue. Ad avviso dell'esponente non fu provato che il Notaio riferì alle convenute che l'acquisto con il fenomeno dell'accessione risultava pericoloso; ne consegue che fu una libera scelta delle parti risolvere il negozio. Le controparti non hanno adempiuto l'onere su di loro incombente.
Il ricorso non può essere accolto.
Infatti la principale ratio decidendi esposta nell'impugnata decisione è costituita (in estrema sintesi) dall'assunto (basato in diritto sul rilievo che il mediatore ha l'obbligo di "...comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso..." ex articolo 1759 c.c.; e basato inoltre sui principi consolidati enunciati sul punto da questa Corte) che nella specie D.P.G.C. aveva a suo tempo acquisito copia dell'atto di acquisto del bene da parte delle R. ; che dal contenuto di tale atto (noto al mediatore per quanto ora esposto) emergeva la compravendita del solo terreno; che quindi l'acquisto per le D. aveva perso in "sicurezza"; che era quindi sorto per D.P.G.C. l'obbligo di comunicazione predetto; e che invece costei non aveva comunicato alle D. il contenuto dell'atto predetto prima del preliminare.
Si è palesemente di fronte ad una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa delle norme in questione.
In particolare va rilevato quanto segue.
- 1) l'affermazione della Corte che il mediatore conosceva il contenuto del titolo di provenienza si basa su due rilievi (v. alle pagg. 16 e 17) ciascuno dei quali autonomo e sufficiente a sorreggere la decisione sul punto:
- il primo, basato sulla "normale prassi del settore" è immune da vizi ritualmente denunciati (cfr. Cass. Sentenza n. 9244 del 18/04/2007: "Il ricorso alla nozione di comune esperienza attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione un'inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e in un determinato luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la sua valutazione si fonda");
- il secondo, basato sulla "esplicita ammissione della stessa parte appellata", concerne chiaramente il comportamento processuale della parte (si tratta del particolare contenuto di una prova dedotta) ed è dunque parimenti inappuntabile (anche in base al seguente principio di diritto: "il comportamento processuale (nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal suo procuratore) o extraprocessuale delle parti, può costituire, ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite ma anche unica e sufficiente fonte di prova:'; v. tra le altre Cass. n. 14748 del 26/06/2007; Cass. n. 09279 del 04/05/2005; e Cass. n. 12145 del 10.08.2002);
- 2) la Corte non ha affermato che la mediatrice doveva procedere ad una particolare "... disamina di tipo squisitamente tecnico-giuridico..."; ed in realtà non ha neppure affermato che fosse dovuta una qualche effettiva disamina giuridica; ha solo sostenuto che D.P.G.C. doveva informare le potenziali acquirenti del fatto (mero fatto) che nell'atto di acquisto delle R. non si parlava di vendita della casa, ma solo di vendita del terreno (anche quando ha esposto considerazioni generali ed astratte, alle pagg. 15 e 16, della sentenza impugnata, ed ha parlato dell'obbligo di "...riferire in conseguenza all'acquirente...gli elementi sufficienti per il controllo della legittimazione del venditore...", ha chiaramente alluso semplicemente all'obbligo di riferire quanto oggettivamente si legge nell'atto sul punto in questione; senza particolari - nè tanto meno approfondite - disamine tecnico-giuridiche); si trattava dunque (secondo l'implicita tesi della Corte) di una circostanza (essenzialmente di fatto) che qualunque persona, anche di modesta cultura, poteva facilmente rilevare e valutare come rientrante tra le sopra citate "...le circostanze .... relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.."; quanto asserito nell'impugnata sentenza deve dunque ritenersi impeccabile alla luce dell'articolo 1759 c.c. e della giurisprudenza sul punto di questa Corte Suprema citata nell'impugnata decisione;
- 3) La Corte ha usato il termine "presunzione" ex articolo 934 c.c., (alla terza riga di pag. 18 della sentenza) chiaramente in senso generico e non tecnico-giuridico.
Comunque ogni doglianza sul punto è priva di pregio (oltre che per tale ragione, anche) in quanto la vera ratio decidendi consiste nel rilievo che l'acquisto aveva perso "in sicurezza" per il puro e semplice fatto che la venditrici non risultavano nell'atto aver comprato pure l'edificio; e la motivazione sul punto è del tutto immune dai vizi denunciati; debbono dunque ritenersi prive di rilevanza (e comunque pure di pregio) tutte le censure ed argomentazioni basate sugli ulteriori articoli del codice civile (oltre l'articolo 934 c.c.) indicati nel ricorso per cassazione.
Che il notaio in questione abbia esposto i sopra citati rilievi, la Corte lo ha ritenuto dimostrato (v. alla fine di pag. 7 della sentenza) sulla base del fatto che la circostanza non era mai stata formalmente contestata dalla D.P. e della circostanza che trovava preciso riscontro nella scrittura di risoluzione del contratto preliminare. Si tratta di una motivazione inappuntabile sia dal punto di vista logico che da quello giuridico (v. in particolare, con riferimento al rilievo probatorio del comportamento processuale delle parti quanto già sopra rilevato al punto 1).
Comunque, anche a prescindere da ciò va rilevato (e si tratta di una questione "a monte" dal punto di vista logico-giuridico rispetto a quella ora affrontata) che ad aver importanza decisiva (nell'ambito della motivazione in esame) non è se il notaio aveva o non aveva messo in guardia le parti in relazione al punto de quo; ma l'affermazione (della Corte) che l'acquisto aveva (oggettivamente; e quindi a prescindere da detto intervento del notaio) perso "in sicurezza" (con il conseguente sorgere dall'obbligo suddetto in capo al mediatore; obbligo non adempiuto).
Infatti tale rilievo (va ribadito: immune da vizi) è del tutto sufficiente (insieme al contesto) a sorreggere la conclusione (a pag. 18) che legittimamente le signore D. avevano fatto valere la responsabilità professionale della D.P. per conseguire la restituzione della provvigione.
Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alle controricorrenti le spese del giudizio di cassazione liquidate in euro 1.200,00, (euro milleduecento) per onorario oltre euro 100,00, (euro cento) per spese vive ed oltre spese generali ed accessori come per legge