Non sono d'accordo con entrambi.
La sentenza fa una premessa ideologica, che difficilmente si può negare. Spiega il motivo economico per cui nell'ordinamento non è consentita una locazione ultra trentennale, a prescindere da qualunque distinzione o "finta" distinzione concettuale e linguistica:
"L'art. 1573 c.c. è norma di interesse generale e di ordine pubblico (Cass. 22 agosto 1946 n. 1255), che pone un limite di natura sostanziale e non formale all'autonomia privata.
La limitazione legale della durata della locazione si ispira al principio generale, desumibile dall'ordinamento vigente, secondo cui le pattuizioni che riguardano il godimento di cose non possono avere una durata antieconomica ed antisociale, giacchè una durata eccessivamente lunga dei vincoli contrattuali imposti alle cose determinerebbe un inaridimento della fonti di impiego produttivo (vedi l'art. 979 per l'usufrutto) e si tradurrebbe in una limitazione obiettiva del diritto, con chiari accenti reali".
La Cassazione, quindi, ritiene che non sia economico uno sfruttamento troppo lungo di un bene, da parte di qualcuno. E' proprio alla luce di questo principio, che poi conclude con una regola di diritto, attinente al caso considerato:
"Il limite legale posto dalla norma deve perciò intendersi applicabile sia quando sia stata pattuita ab initio una durata eccedente i trenta anni, che quando il contratto sia stato stipulato per una durata inferiore, ma sia stata in esso inserita la clausola che ne consenta la rinnovazione per un numero indeterminato di volte, quale che sta la condizione alla quale le parti abbiano inteso sottoporre la rinnovazione stessa. La pattuizione della rinnovazione è infatti valida ed efficace solo nei limiti temporali del trentennio. La norma finirebbe altrimenti per consentire alle pattuizioni successive, in che consistono le previste rinnovazioni, proprio ciò che ha inteso escludere per la prima, con conseguente elusione del divieto da essa stabilito".
Voi fate la distinzione tra due situazioni che ritenete diverse:
- il contratto si rinnova in automatico, semplicemente perchè le parti non danno disdetta;
- il contratto, fin dall'inizio, non prevede la possibilità per il locatore di scappare dal vincolo.
In entrambi i casi, si possono superare i 30 anni, superati i quali la Cassazione ritiene non sociale e non economico lo sfruttamento del bene, perché da diritto di godimento si trasformerebbe in diritto di proprietà o simili.
L'obiezione che vi faccio, quindi, e che faccio alla "vostra" personale lettura della norma è questa: come mai se le parti hanno la possibilità di dare disdetta e interrompere il rapporto, ma non lo fanno, l'uso ultratrentennale diventa magicamente economico e socialmente accettabile?
Avv. Stefano Duchemino
La sentenza fa una premessa ideologica, che difficilmente si può negare. Spiega il motivo economico per cui nell'ordinamento non è consentita una locazione ultra trentennale, a prescindere da qualunque distinzione o "finta" distinzione concettuale e linguistica:
"L'art. 1573 c.c. è norma di interesse generale e di ordine pubblico (Cass. 22 agosto 1946 n. 1255), che pone un limite di natura sostanziale e non formale all'autonomia privata.
La limitazione legale della durata della locazione si ispira al principio generale, desumibile dall'ordinamento vigente, secondo cui le pattuizioni che riguardano il godimento di cose non possono avere una durata antieconomica ed antisociale, giacchè una durata eccessivamente lunga dei vincoli contrattuali imposti alle cose determinerebbe un inaridimento della fonti di impiego produttivo (vedi l'art. 979 per l'usufrutto) e si tradurrebbe in una limitazione obiettiva del diritto, con chiari accenti reali".
La Cassazione, quindi, ritiene che non sia economico uno sfruttamento troppo lungo di un bene, da parte di qualcuno. E' proprio alla luce di questo principio, che poi conclude con una regola di diritto, attinente al caso considerato:
"Il limite legale posto dalla norma deve perciò intendersi applicabile sia quando sia stata pattuita ab initio una durata eccedente i trenta anni, che quando il contratto sia stato stipulato per una durata inferiore, ma sia stata in esso inserita la clausola che ne consenta la rinnovazione per un numero indeterminato di volte, quale che sta la condizione alla quale le parti abbiano inteso sottoporre la rinnovazione stessa. La pattuizione della rinnovazione è infatti valida ed efficace solo nei limiti temporali del trentennio. La norma finirebbe altrimenti per consentire alle pattuizioni successive, in che consistono le previste rinnovazioni, proprio ciò che ha inteso escludere per la prima, con conseguente elusione del divieto da essa stabilito".
Voi fate la distinzione tra due situazioni che ritenete diverse:
- il contratto si rinnova in automatico, semplicemente perchè le parti non danno disdetta;
- il contratto, fin dall'inizio, non prevede la possibilità per il locatore di scappare dal vincolo.
In entrambi i casi, si possono superare i 30 anni, superati i quali la Cassazione ritiene non sociale e non economico lo sfruttamento del bene, perché da diritto di godimento si trasformerebbe in diritto di proprietà o simili.
L'obiezione che vi faccio, quindi, e che faccio alla "vostra" personale lettura della norma è questa: come mai se le parti hanno la possibilità di dare disdetta e interrompere il rapporto, ma non lo fanno, l'uso ultratrentennale diventa magicamente economico e socialmente accettabile?
Avv. Stefano Duchemino