Veramente capisco benissimo perchè è proprio quello che mi è capitato nel luglio del 2009 quando io e mia moglie abbiamo firmato un compromesso per l'acquisto di un immobile sul PDZ Casal Monastero al prezzo di € 360.000. Nell'occasione abbiamo versato una caparra di € 50.000 e pagato una provvigione all'AI di € 12.500.
Quando, nel mese di settembre dello stesso anno, abbiamo preso visione della Convenzione senza nessuna difficoltà e senza bisogno di alcun esperto, abbiamo capito che la casa che ci era stata "rifilata" non valeva affatto 360.000 bensì 140.000 poichè nella ridetta Convenzione, a chiare lettere (art. 14 dei Patti, condizioni, ect), era testualmente scritto che "Il prezzo massimo di qualsiasi cessione che intervenga dopo sei mesi dall’ultimazione dei lavori sarà determinato [...]".
Quando ci è stato consegnato il famoso "chiarimento" del Comune (per noi patente speculativa) abbiamo immediatamente dubitato della sua bontà in primo luogo perchè difforme dalla "semplice" lettura del contenuto della Convenzione, in secondo luogo perchè in contrasto con il dettato imperativo della Legge 865/1971 e con la giurisprudenza e, in ultimo, perchè non rientra(-va) tra le prerogative del Dirigente di Unità Operativa (nel caso di specie U.O. Edilizia Residenziale Pubblica) l'interpretazione autentica di un provvedimento emesso dal Consiglio Comunale.
In ragione di tutto ciò, abbiamo chiesto (per il tramite dell'AI) di annullare il compromesso e di restiturci la caparra perchè non avevamo nessuna intenzione di pagare 360.000 euro un alloggio non liberamente commerciabile.
Le nostre venditrici (evidentemente mal consigliate dallo stesso Agente immobiliare, dal Notaio di riferimento dell'AI e dall'avvocato dell'Agenzia immobiliare) hanno pensato male di incamerarsi la caparra versata (che rappresentava il risparmio di una vita).
Iniziata la causa, siccome l'alloggio dove abitavamo era piccolo e non adeguato ai bisogni della nostra famiglia, abbiamo affittato una casa più grande ed imputato il costo del canone di locazione ai nostri venditori che alla fine hanno perso la causa in cui il giudice ha trasferito la proprietà bene al prezzo di € 140.000.
Per inciso, nella predetta causa (che destava molte preoccupazione negli ambienti del notariato romano e del Dipartimento Urbanistica) è successo di tutto. E' dovuto persino intervenire il CSM e la Commissione per l'Accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Come si vede l'unica differenza tra noi e tanti altri cittadini romani consiste nel fatto che non ci siamo fidati di quanto dicevano quei cosidetti "esperti della materia".
Ribadendo che la responsabilità di questo caos è (quasi) tutta dei Notai e del comune di Roma, sottovoce mi permetto di aggiungere (riferendomi esclusivamente a quegli proprietari-acquirenti fuori prezzo massimo di cessione che oggi inveiscono contro di me e che velatamente minacciano) che avrebbero fatto bene a tenere gli occhi un pochino più aperti.
A mio avviso, chi oggi pretende di vanificare la funzione sociale dell'edilizia residenziale pubblica farebbe bene a comprendere che nel Comune di Roma 1 famiglia su 191 si trova sotto sfratto (per lo più per morosità); gli affitti in pochi anni sono saliti del 160%; centinaia di famiglie disperate – per garantirsi il “diritto all’abitare” – sono state addirittura costrette a umiliarsi e ricorrere alle cosiddette “occupazioni”.
Il diritto alla casa (costituzionalmente garantito) si realizza solo mantenendo bassi i prezzi di acquisto degli immobili e i relativi canoni di locazione!